Milano. “Essere interessati al cambiamento delle stagioni è uno stato mentale più felice di essere disperatamente innamorati della primavera” diceva il grande George Santayana, filosofo spagnolo esponente del realismo critico. Questo succedersi di climi e panorami diversi, in effetti, ha incuriosito l’uomo fin dagli albori. Uno su tutti è indubbiamente Antonio Vivaldi, autore, nel 1725, delle “Quattro Stagioni”. Ma un altro, molto più vicino a noi cronologicamente, è Astor Piazzolla, con le sue “Cuatro Estaciones Porteñas”, in cui, oltre a una rappresentazione della natura nel suo cambiamento perpetuo, si dipinge anche l’anima dell’uomo di Buenos Aires nel corso di questo fluire e mutare del tempo.
Giovedì 15 ottobre alle ore 20.30, venerdì 16 ottobre alle ore 20.00, sabato 17 ottobre alle ore 18.00 e domenica 18 ottobre alle ore 16.00, sotto il tetto dell’Auditorium di Milano, il Maestro Ruben Jais dirige un programma in cui si approfondiscono entrambe queste composizioni, temporalmente così distanti ma concettualmente così vicine. Due orchestre diverse: per Vivaldi il violino barocco di Gianfranco Ricci, accompagnato dall’Ensemble laBarocca. Per Piazzolla il violino della spalla d’orchestra de laVerdi, Luca Santaniello, accompagnato dai colleghi dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi.
Un programma, quello del concerto intitolato appunto Le Stagioni del Mondo, che fa i conti con un gioiello del barocco, una delle composizioni più iconiche del repertorio di Vivaldi e di tutto il Settecento musicale. I Quattro concerti solistici noti come “Le Quattro Stagioni” venivano pubblicati da Vivaldi ne “Il cimento dell’armonia e dell’inventione” nel 1725 ad Amsterdam, e sono un esempio perfetto di musica a programma: alle quattro stagioni vengono correlati quattro sonetti in cui si evocano immagini e sensazioni connotanti i vari momenti dell’anno. Si pensi alla celeberrima Primavera, dove il canto degli uccelli (Allegro), precede il riposo del pastore con il suo cane (Largo), oppure all’Estate, momento in cui l’azione spietata del vento gelido (Allegro) precede la pioggia che cade lenta sul terreno ghiacciato (Adagio). Ben diverse sono le “Cuatro Estaciones Porteñas” di Piazzolla, la cui musica ci racconta una visione tutta interna del passare del tempo, le emozioni che si provano nel vedere alla finestra cadere le foglie. Un’emozione nostalgica che vibra soprattutto grazie alla melancolica eco di un tango tutto intriso dello spirito argentino, quella malinconia di chi è in cerca di fortuna e ritaglia insieme ai compagni di sventure un momento per sfogare quella tristezza, un po’ affine al sentimento portoghese della saudade, un’emozione simile a quella di chi arriva al porto di Buenos Aires per costruire una nuova vita. E infatti l’aggettivo porteño nient’altro è se non un modo di chiamare i cittadini di Buenos Aires, coloro che sono del porto, intrisi di questo spirito decadente. E non è un caso che la composizione, realizzata da Piazzolla tra il 1965 e il 1970, prevedesse nel suo organico originario uno strumento tipico delle orchestre di Tango: il bandoneón. “Cuatro Estaciones Porteñas” era infatti scritto per Quintetto composto (oltre al già citato strumento) da violino (o viola), pianoforte, contrabbasso e chitarra elettrica. Le quattro stagioni descritte musicalmente sono “Primavera” (primavera), “Verano” (estate), “Otoño” (autunno) e “Invierno” (inverno), e furono concepite da Piazzolla come pezzi singoli. La versione che sarà eseguita in Auditorium con Ruben Jais, Luca Santaniello e l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi è quella per orchestra, arrangiata dal 1996 al 1998 da Leonid Desyatnikov. Un programma che mette a confronto due visioni del mondo radicalmente diverse, messe in musica anche da due “suoni” diversi: quello moderno dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, e quello antico dell’Ensemble laBarocca, creatura nata nel 2008 dal desiderio del suo direttore Ruben Jais per costituire un gruppo di musicisti specializzati nella prassi esecutiva barocca con strumenti antichi per esplorare e valorizzare i capolavori del passato e portare alla luce le rarità dimenticate.