Napoli. Al Teatro Mercadante sotto il titolo “Diari d’amore” Nanni Moretti, alla sua prima regia teatrale, ha portato in scena due commedie di Natalia Ginzburg, ovvero “Dialogo” e “Fragola e panna”, in replica fino al 21 gennaio.
Scelta coraggiosa quella di Moretti, dettata probabilmente dalla grande stima che nutre per l’autrice, la cui produzione teatrale consta in tutto di 10 occorrenze, tutte brevi, e dove è sovvertita la regola prima, secondo la quale la scrittura per il teatro è cosa diversa da quella di un romanzo o di un racconto, proprio perché c’è la messa in scena, che invece lei dimentica completamente.
Moretti ha voluto rispettare il testo e soprattutto l’obiettivo della Ginzburg di fare in modo che le commedie non siano portatrici di un messaggio ma, semplicemente, disegnino le figure umane e i rapporti che tra loro intercorrono, cogliendo in particolare il loro momento di frattura, tant’è che più che di diari d’amore bisognerebbe parlare di diari di disamore.
E lo fa attraverso una verbosità continua, minuziosa di “chiacchiere” quotidiane, spesso futili, sovrabbondanti, che non lasciano mai spazio al silenzio, quasi come se ci fosse il timore di sentire il vuoto interiore e la pochezza dei rapporti umani, ed ecco allora la necessità fare parlare continuamente i propri personaggi.
C’è una grande fissità della storia cui contribuisce una scenografia minimalista accompagnata da un’illuminazione essenziale del luogo narrativo che è connotativo di mondo piccolo borghese: nello specifico, la stanza da letto nel primo atto e il salotto di una casa isolata in campagna, sommersa dalla neve, nel secondo atto.
Il primo dialogo si svolge a letto o poco lontano dallo stesso tra Francesco (Valerio Binasco), uomo nevrotico, egoista e concentrato unicamente sul tentativo di una carriera da scrittore e la moglie Marta (Alessia Giuliani), madre di una bambina di 10 mesi, che trova il coraggio di confessare il proprio amore per Michele, scrittore affermato e migliore amico del marito, che però non trova a sua volta la forza di lasciare la consorte. Il racconto si interrompe con l’arrivo della lettera con la quale l’amante comunica alla donna di essere partito con la famiglia, non si conoscono le conseguenze o poco importano, perché l’interesse era di mostrare la fine dell’amore tra i due coniugi.
Il secondo dialogo vede protagonista la serva Tosca (Daria Deflorian) decisa ad abbandonare quel lavoro che ha iniziato da pochi giorni, perché “non si trova” e la casa è troppo isolata, e Barbara (Arianna Pozzoli) che cerca il proprio amante, l’avvocato Cesare (Valerio Binasco), il quale però è a Londra.
Torna a casa Flaminia (Alessia Giuliani), la moglie dell’avvocato, che dopo una iniziale indifferenza nei confronti della ragazza rivede in lei i propri errori e la propria infelicità.
La sorella di Flaminia, Letizia (Giorgia Senesi), sistema la ragazza in un convento, da cui però fuggirà, e la prima cosa che farà sarà quella di andarsi a fare i capelli dalla figlia di Tosca.
Molto valide le prove degli attori, in particolare di Valerio Binasco, che non è nuovo alle opere della Ginzburg, e della bravissima Daria Deflorian che interpreta la serva, come vuole essere chiamata, piuttosto che signora, e infine di Arianna Pozzoli (Barbara) nella quale ritroviamo nel modo di recitare cantilenante e nei movimenti del corpo molto di Nanni Moretti.
Se alla chiusura del sipario tanti giovanissimi presenti in sala erano lì a interrogarsi sul senso di queste chiacchiere leggere, la responsabilità non è da attribuire al regista, che ha anzi ha avuto il merito di perseguire l’obiettivo della Ginzburg, ossia, quello di offrire una drammaturgia “leggera e triste, che lasci un vago senso di freddo, non del ghiaccio, ma di qualche fiocco di neve” e una drammaturgia, soprattutto, che sia priva di qualsivoglia messaggio. La questione però è di fondo: può esserci un dramma privo di messaggio?
Crediti foto: Luigi De Palma.