Milano. Valerio Binasco torna a confrontarsi con un classico e sceglie Molière per il suo primo spettacolo come direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, in scena al Piccolo Teatro Strehler dal 29 gennaio al 10 febbraio.
Don Giovanni è uno dei personaggi più frequentati dalla letteratura: seduttore incallito, ateo, criminale, da Tirso de Molina fino a Mozart ha attraversato la storia del pensiero occidentale.
Nella complessa figura che Molière tratteggia per proseguire nel 1665, dopo Tartufo, la sua polemica contro i benpensanti e gli ipocriti, Binasco legge «una grande festa del racconto», alla quale i classici partecipano con la gioia di essere riletti alla luce del tempo trascorso.
La commedia, in cinque atti in prosa, è strutturata in modo tale da far convergere tutte le scene sulla figura del protagonista. Il suo libertinaggio non è che una declinazione estrema della ricerca di libertà: anche nel momento in cui tale ricerca sfocia nell’ateismo e blasfemia non contraddice mai la figura dell’eroe-criminale solitario, che orgogliosamente osa portare la sua sfida anche contro Dio.
La difesa dei principi della religione e delle verità della fede viene assunta da Sganarello, servitore ridicolo che svilisce gli argomenti che tocca, inducendo a una caricaturale confusione tra religione e superstizione. Neanche la figura del Convitato di pietra, così come il finale morale imposto dalla tradizione, riescono a riequilibrare la propensione degli spettatori verso l’immagine del libertino, immorale ed empio.
Con Gianluca Gobbi (Don Giovanni), Sergio Romano (Sganarello), Fabrizio Contri (Don Luigi, La Statua del Commendatore), sono in scena Vittorio Camarota, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Fulvio Pepe, Ivan Zerbinati.
Con questo Don Giovanni ci allontaniamo dalla tradizione recente che ci ha abituati, anche con allestimenti molto belli e paludati, a un protagonista emaciato, pre-esistenzialista, malinconico e cerebrale, in linea con le riletture novecentesche di Don Giovanni. Partendo proprio dal protagonista ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere Spagnoleggiante della prima tradizione, così come la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso.
Cosa cerco? Cerco proprio Lui, il protagonista di questa storia, come posso immaginare che sia stato prima che nascesse la sua leggenda e la sua letteratura. Lo cerco nella vita più che nel testo. Se lo cerco nella tradizione, Don Giovanni non c’è, c’è un fantasma letterario al suo posto. Se lo cerco nella realtà che mi sta intorno, Don Giovanni è poco più di un delinquente, un autentico delinquente, non un borghese che si atteggia. È il risultato di un eccesso di desideri compulsivi e viziosi, che egli coltiva con il preciso scopo di stare bene con se stesso, e non di autopunirsi in modo estetico né di fare la rivoluzione culturale. Ma con una caratteristica in più, che sembra però una caratteristica in meno, ma non lo è: la propria scarsa consapevolezza di chi egli sia realmente nell’anima. Questo suo ‘non percepirsi’ nel profondo, questo rifiuto a priori di considerare degno di interesse la coscienza di sé, è una condizione psicologica molto contemporanea, teatralmente interessante, poco indagata.