Napoli. Inaugurata lo scorso 13 aprile al MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la mostra fotografica “È stata la mano di Dio – Immagini dal set” è dedicata all’ultima suggestiva pellicola di Paolo Sorrentino.
L’esposizione, visitabile fino al prossimo 5 settembre, ha trovato la sua collocazione ideale nelle sale in cui dimora la collezione Farnese in una forma di dialogo muto con i capolavori già presenti in sede.
I cinquantuno scatti portano la firma di Gianni Fiorito e sono stati realizzati proprio durante le riprese del film: la mostra, curata da Maria Savarese e finanziata dalla Regione Campania nell’ambito dei progetti POC Cultura, è prodotta da Film Commission Regione Campania.
Le sezioni di cui si compone la mostra sono sei e raccontano, per immagini appunto, il film più autobiografico e rappresentativo di Sorrentino valso al regista partenopeo la candidatura agli Oscar e la meritatissima conquista di ben cinque David di Donatello.
La fotografia è il corredo imprescindibile di ogni film e Fiorito ha saputo catturare gli istanti più emblematici di una storia profondamente viscerale in cui Sorrentino ha osato mettersi a nudo: la crescita brutale di Fabietto Schisa coincide con la vicenda umana di Paolo attraverso il dolore per la perdita dei genitori, un dolore che, dopo aver squarciato il protagonista nell’intimo, si configura come una catarsi che proietta il giovane verso la vita adulta.
Il cinema, quello respirato attraverso le videocassette noleggiate dal padre, si trasforma prima in sogno e poi in concreta ambizione per il futuro di Fabietto: mentre il fratello maggiore trascorre le giornate collezionando provini, il piccolo di casa plasma se stesso attraverso le esperienze personali, scopre la sua sessualità e comprende che la realtà, “così scadente” secondo Fellini, è materia imprescindibile per fare cinema.
La sezione iniziale è dedicata a San Gennaro e al munaciello, un viaggio che si dipana prendendo spunto dai chiaroscuri delle scene girate nella Villa del cardinale Spinelli a Torre del Greco: il maestoso lampadario fomenta il gioco di ombre mentre le figure di Luisa Ranieri ed Enzo De Caro si stagliano nitidamente in primo piano.
La sezione successiva si focalizza sul gioco del calcio ed in particolar modo sull’arrivo di Diego Armando Maradona a Napoli nella rovente estate del 1984. La fede calcistica sfugge a qualsiasi confronto e proprio per questo la figura di Maradona, a distanza di quasi 40 anni, mantiene saldamente la sua aura leggendaria.
La ricerca della felicità, la famiglia e, ovviamente, il cinema sono gli altri temi narrati dalle fotografie con dettagli importanti che non sfuggiranno a chi ha visto il film: ad esempio, la presenza dello Stromboli assente nella pellicola e la versione di Napoli degli anni Ottanta nella fedele ricostruzione della Galleria Toledo, luogo emblematico della città e sintomo di un desiderio di rinnovamento fortemente sentito soprattutto dai giovani di allora.
Il percorso espositivo avvolge come un abbraccio il visitatore facendogli rivivere le scene cult del film ma soprattutto fomentando una riflessione profonda sui desideri e le emozioni che ci animano.
Gli abbracci familiari bucano l’obiettivo e assumono concretezza quasi a voler catturare in eterno i ricordi che si teme possano svanire con il trascorrere del tempo: il cortile dell’istituto dei Salesiani con le attività ludiche vissute dal protagonista, la conturbante bellezza di Luisa Ranieri, lo sguardo ironico eppur velato di malinconia della straordinaria Teresa Saponangelo, la presa di coscienza di Fabietto mentre si allontana dopo il confronto con Capuano – momento iconico del film.
Infine, a concludere la mostra, il viaggio in treno del giovane Schisa: non una fuga da sé ma un percorso per ritrovarsi e rinnovarsi; accanto a questa immagine la foto speculare di Sorrentino, immortalato di nascosto da Fiorito, mentre rivede i ciak.
Un atto che sfugge ad una semplicistica classificazione per tramutarsi in un realistico tuffo nel passato.