“Elena egizia” per la prima volta alla Scala

Milano. Il percorso intrapreso dal Teatro alla Scala attraverso il teatro musicale di Richard Strauss giunge a una tappa di particolare interesse con la prima milanese di “Die ägyptische Helena”, in scena dal 6 novembre con la direzione di Franz Welser-Möst e la regia di Sven-Eric Bechtolf. Le scene sono di Julian Crouch, i costumi di Mark Bourman e le luci di Fabrice Kebour. Il cast schiera nei panni di Elena Ricarda Merbeth, già trionfatrice nella recente ripresa di “Elektra”, insieme all’Heldentenor Andreas Schager come Menelao, Eva Mei come maga Aithra e Thomas Hampson come Altair. Una grande produzione che offre anche a diversi allievi dell’Accademia la possibilità di debuttare sul palcoscenico scaligero nei ruoli di contorno.

Nel ricco catalogo operistico del compositore questo è uno dei titoli di più rara esecuzione, anche per le proibitive richieste agli interpreti, ma non per questo meno ricco di suggestione e mistero. Il libretto, quinto e penultimo capitolo della preziosa collaborazione con Hugo von Hofmannsthal, è ispirato da “Elena” di Euripide, tra mitologia e dramma coniugale borghese. In questi anni il Teatro ha riproposto di Strauss “Der Rosenkavalier” diretto da Zubin Mehta, “Elektra” diretta da Christoph von Dohnányi e Markus Stenz, “Ariadne auf Naxos” diretta da Franz Welser-Möst, mentre nel prossimo marzo è attesa “Salome” diretta da Riccardo Chailly con la regia di Damiano Michieletto. “Die ägyptische Helena” è il secondo titolo in prima esecuzione alla Scala presentato nel corso della Stagione 2018-2019 dopo “Die tote Stadt” di Erich Korngold.

Dal carteggio Hofmannsthal – Strauss risulta che la prima conversazione su “Helena” ebbe luogo già nel 1923, e vide i due coautori impegnati in un confronto assai serrato. L’idea di partenza, una rilettura mitologica dai toni di commedia sulla scia di “Ariadne auf Naxos” (1912) andava caricandosi di sempre nuove intenzioni e significati.
La prima ebbe luogo alla Semperoper di Dresda il 6 giugno 1928 con Fritz Busch sul podio. Strauss aveva scritto la parte della protagonista per Maria Jeritza, ma il Teatro rifiutò di pagare il ricco cachet richiesto dall’artista e, dopo un tentativo di coinvolgere Lotte Lehmann, alla prima cantò Elisabeth Rethberg (alla prima, parziale, esecuzione privata nel 1926 era stata Elisabeth Schumann). La “Jeritza” si riprese la parte nelle recite che seguirono a Vienna, dirette dall’autore. Strauss e Hofmannsthal, pur impegnati nella stesura della successiva “Arabella”, pensarono a una revisione dell’opera fino alla tragica morte di Hofmannsthal nel 1929, dopo la quale Strauss affrontò l’impresa con il regista Lothar Wallerstein e il direttore Clemens Krauss. Fu appunto Krauss a dirigere la nuova versione a Salisburgo nell’agosto e a Vienna nel settembre 1933, protagonista Viorica Ursuleac. Da allora l’opera, che richiede qualità vocali non comuni e un’orchestra capace di restituire la lussureggiante trama sonora di Strauss, è rimasta come una fastosa, imperdibile eccezione nelle stagioni dei teatri europei. In Italia si registra una sola produzione, a Cagliari nel 2001, nella versione di Vienna (dirigeva Gérard Korsten, regia di Denis Krief).

Il soggetto narra del ritorno a Sparta della bellissima Elena e del consorte, il re Menelao, deciso a uccidere la moglie, il cui rapimento da parte di Paride ha causato la Guerra di Troia. La loro nave però naufraga e la coppia si ritrova su un’isola, dove incontra la maga egiziana Etra che vuole salvare Elena dall’ira del marito. Con un filtro dell’oblio a base di loto la maga convince Menelao che la sposa, sottratta all’amante dopo il rapimento, è stata portata in Egitto durante il decennio della guerra e lì ha dormito per due lustri, senza invecchiare. Ora viene restituita al marito per nulla sfiorata dalla passione di Paride, che ha amato e rapito un fantasma. C’è un primo riavvicinamento di coppia nel talamo, ma, durante il secondo atto, quando i due tornano preda del ricordo, avviene una riappacificazione vera, comunque siano andate le cose. Il pastiche mitologico di ambientazione esotica si intreccia al dramma borghese sulla ricomposizione della coppia (come già in “Die Frau ohne Schatten”) lasciano emergere temi ricorrenti nell’opera di Strauss e Hofmannsthal, quali la natura della realtà e del linguaggio: echi delle inquietudini che le esplorazioni dell’inconscio e le ricerche sull’essenza del linguaggio avevano instillato nella cultura viennese dei primi decenni del ‘900.

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