Napoli. “La Bohème” di Giacomo Puccini con la regia di Emma Dante è in scena al Lirico di Napoli dal 30 giugno al 7 luglio con la direzione di Francesco Lanzillotta alla guida di Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo (quest’ultimo preparato da José Luis Basso). Torna, dunque, a Napoli, dopo la messinscena dell’ottobre del 2021, nel più bel teatro del mondo, un’opera amata dal grande pubblico e dalla critica, in una produzione ricca e attenta alla tradizione, che però non disdegna interessanti incursioni nel nostro tempo.
Nella Guida all’ascolto di Marco Bizzarini si ricorda che in francese la parola “bohémien” significa “zingaro” perché tradizionalmente si pensava che il popolo nomade provenisse dalla Boemia, ma proprio all’epoca di Murger il termine “bohème” assunse l’odierno significato di vita scapigliata, condotta da giovani artisti al di fuori delle convenzioni sociali e della morale borghese, senza guadagni fissi e senza troppe preoccupazioni dinanzi a un futuro assai incerto. La regia di Emma Dante è straordinariamente attenta a questa origine terminologica e di quella vita «gaia e terribile» («vie charmante et vie terrible»), come giustamente la definì lo scrittore francese, ne evidenzia quella doppia e contrastante dimensione, ben riflessa anche nella partitura pucciniana. Ripartire dal testo originale del romanzo è operazione ardua. D’altronde, fu la stessa riduzione a libretto del romanzo un compito oggettivamente complicato, soprattutto per l’assenza di una vera e propria struttura narrativa portante. Come suggerito dal titolo del libro, si trattava per l’appunto di Scènes, ossia di racconti brevi, non sempre organicamente collegati l’uno all’altro, ma tenuti insieme nel nome dei quattro protagonisti maschili: il poeta Rodolphe (proiezione autobiografica dello stesso Murger), il pittore Marcel, il musicista Alexandre Schaunard e il filosofo Gustave Colline. Quando Ricordi, in una lettera del 1893, parlava di un’«opera nuovissima», lo faceva a ragion veduta: infatti, per la tradizione del teatro musicale italiano, un lavoro basato su un insieme di quadri narrativi, anziché sul regolare sviluppo e scioglimento di un nodo drammatico, costituiva una sfida audace. Per questo motivo, i librettisti Giacosa e Illica vollero intitolare la loro elaborazione “Scene de La vie de bohème di H. Murger in quattro quadri”, dunque senza scomodare locuzioni come “dramma lirico”, “opera lirica” e simili.
ll cast di questa produzione è davvero eccezionale e giustamente il pubblico ne ha acclamato le grandi doti canore ed espressive in occasione della prima di ieri sera. Nei panni di Mimì si alterneranno Selene Zanetti (30 giugno, 2, 5, 7 luglio) e Carolina López Moreno (1, 4, 6 luglio) e in quelli Rodolfo Vittorio Grigolo, per la prima volta al San Carlo (30 giugno, 2, 5, 7 luglio) e Vincenzo Costanzo (1, 4, 6 luglio). A dare volto e voce a Musetta saranno Maria Sardaryan (30 giugno, 2, 5, 7 luglio) e Laura Ulloa (1, 4, 6 luglio) mentre Andrzej Filonczyk sarà Marcello. Schaunard sarà interpretato da Pietro Di Bianco, Colline da Alessio Cacciamani e i ruoli di Benoît e Alcindoro saranno ricoperti da Matteo Peirone.
Completano il cast Andrea Calce (Parpignol), Antonio Mezzasalma (Venditore), Alessandro Lerro (Sergente), Sergio Valentino (Doganiere). Il Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo è diretto da Stefania Rinaldi.
Le scene di questa produzione del Teatro di San Carlo sono di Carmine Maringola e i costumi di Vanessa Sannino; firma le luci Cristian Zucaro, mentre la coreografia è di Sandro Maria Campagna.
“La Bohème – afferma Emma Dante nelle Note di sala – è una favola d’amore, sospesa, come nel dipinto “La promenade” di Chagall, dove l’innamorato tiene per mano l’innamorata che vola in alto leggera. Ma è anche una tragedia di malattia e di morte, un lungo calvario di povertà e di sogni infranti”.
Prima della prima il 30 giugno, alle ore 18:00, nella sede del MeMus, per la serie “Lezioni d’opera”, il musicologo Prof. Dinko Fabris ha tenuto una conferenza su “La Bohème” di Giacomo Puccini in occasione della quale è stato anche possibile visitare la mostra in corso su Dario Fo e Gioacchino Rossini, allestita con l’intento di celebrare l’incontro tra due grandi maestri del teatro.
Questa produzione conferma che Puccini rimane sempre Puccini, e ciò che il maestro seppe ricavare dal gran lascito verdiano e wagneriano fu piegato per realizzare «non solo un’opera nuovissima, ma anche una vera opera d’arte». E, come è stato giustamente detto, questa è un’opera che non finirà mai di sorprendere per la sua stringente logica compositiva e per la profonda conoscenza del cuore umano di cui è perfetta espressione.