Spoleto. Si è conclusa domenica 10 luglio la 65esima edizione del Festival dei Due Mondi, rassegna culturale di risonanza mondiale istituita nel 1958 nella città di Spoleto per volontà del compositore Gian Carlo Menotti. Nato con lo scopo di creare uno strumento di incontro e scambio tra la cultura europea e quella americana, valorizzandone le espressioni artistiche in settori quali la musica, la danza, il teatro e altre arti dello spettacolo, il Festival ha ospitato, anche quest’anno, le migliori esperienze performative a livello mondiale: più di 60 spettacoli in 17 giorni e oltre 500 artisti da 36 paesi. Monique Veaute, per il secondo anno alla direzione artistica, ha confermato la vocazione multidisciplinare e internazionale della rassegna con una proposta artistica trasversale alle singole arti che si è sviluppata intorno a tre linee programmatiche: la musica dei due Mondi, la voce delle donne e i nuovi modi di raccontare la musica.
La proposta musicale ha riguardato diversi generi con la presenza di importanti voci come Angélique Kidjo, Mariza, Dianne Reeves e il gran finale affidato ad Antonio Pappano, Barbara Hannigan e l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, mentre il Teatro ha visto tra i protagonisti il regista tedesco Thomas Ostermeier e alcuni drammaturghi italiani quali Leonardo Lidi, Davide Enia e il duo Flavia Mastrella&Antonio Rezza, con i loro ultimi lavori.
La sezione Danza, invece, si è aperta con la celebre coreografia “Le Sacre du printemps” di Pina Bausch, riletta dai ballerini della senegalese École des Sables fondata da Germaine Acogny, interprete con Malou Airaudo di “common ground[s]” nella seconda parte della serata; ad essa hanno fatto seguito le creazioni di Alexander Vantournhout, Blanca Li, Anne Teresa De Keersmaeker, l’omaggio a Trisha Brown a cinque anni dalla scomparsa, e i lavori della nuova generazione di coreografe e coreografi come Ayelen Parolin, Luz Arcas e Yoann Bourgeois.
E proprio l’arte coreutica riguardano i due spettacoli visti nel pomeriggio e nella serata di sabato 9 luglio. All’Auditorium della Stella, in uno spazio rinnovato e dall’atmosfera suggestiva, è andato in scena lo spettacolo dal titolo “Toná”, della danzatrice, coreografa e performer spagnola Luz Arcas, fondatrice della compagnia La Phàrmaco, una performance di danza, musica e canto eseguiti dal vivo, con un assolo della stessa Luz Arcas. “Toná è nato durante i viaggi a Malaga per visitare mio padre, che era molto malato. Nella sua casa, dove sono cresciuta, ho riscoperto riferimenti, icone, simboli che avevo quasi dimenticato. Ho ricordato aneddoti e paure, ricollegandomi al folklore della mia infanzia. Ho voluto danzare un sentimento che è tipico di quel folklore: la morte come celebrazione della vita e catarsi individuale e collettiva”. Un lavoro che prende ispirazione dalle sue origini, quindi, con richiami al flamenco e ai suoi ritmi – la Toná è appunto uno dei cantes flamencos básicos – e ad altre danze con la loro ritualità, anche se Luz Arcas al termine “danza” preferisce “ballo” poiché “riporta alla storia del gesto”. Molti gli oggetti in scena che rimandano al folclore, nella necessità, dichiarata dalla coreografa, di dissolvere la propria personalità nei simboli sociali. “Credo che il folclore e l’immaginario popolare siano densi di tensioni e crisi e a me interessa ballarli. Approfondisco che cosa significano il toreo, la corrida, il corpo della donna storicamente, il lutto e la consuetudine di vestirsi di nero, la bandiera che per noi spagnoli evoca conflitti”.
Sembra, quindi, stando anche a quanto si legge nel programma di sala, che la performance voglia incarnare lo spirito del flamenco, sospeso tra la vita e la morte, ballare il folclore e l’immaginario popolare, sporcare i simboli e la tradizione, ma la catarsi stenta ad arrivare e il lavoro di Luz Arcas non risulta troppo convincente, soprattutto dal punto di vista drammaturgico; apprezzabile, invece, la sua costruzione con le musiche originali di Luz Prado, eseguite dal vivo, e la vibrante voce di Lola Dolores.
Da sempre palcoscenico sia per artisti emergenti che affermati, quest’anno il Festival attendeva anche il nuovo lavoro di Anne Teresa De Keersmaeker, coreografa belga dalla lunghissima carriera, Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 2015. Presentato al Teatro romano, lo spettacolo dal titolo “Mystery Sonatas/for Rosa” si inserisce nel già noto percorso di ricerca meticolosa del legame tra danza e musica di Anne Teresa De Keersmaeker che, stavolta, insieme ai suoi bravissimi danzatori, si addentra nei tre cicli delle “Sonate del rosario” di Heinrich Ignaz Franz von Biber, eseguite dal vivo dalla violinista Amandine Beyer e dal suo ensemble Gli Incogniti.
Al centro del lavoro ancora una volta la figura della rosa, tanto cara alla coreografa che ha chiamato la sua compagnia Rosas, simbolo di segreto e mistero ma, per Anne Terese De Keersmaeker, anche di resistenza. Riportata anche nel titolo dello spettacolo, la dedica “for Rosa” rende omaggio a tutte le Rosa che hanno lottato per le loro idee: Rosa Bonheur, Rosa Luxemburg, Rosa Parks, e Rosa, l’attivista quindicenne annegata per le inondazioni avvenute in Belgio nel 2021.
“Intrinsecamente religiose e narrative, traduzione musicale dei quindici Misteri Sacri della vita della Vergine Maria, con il loro susseguirsi di gighe, allemande e correnti, le Sonate di Biber sono un invito alla danza. Per questa nuova creazione la De Keersmaeker ha attinto ai ricordi del proprio passato, mentre la circolarità, la ripetizione e gli schemi “a petalo” sono gli elementi chiave che permettono alla forma di mutare secondo le variazioni musicali”.
Quel che ne esce è una coreografia di 135 minuti, fatta di strutture che attingono alla geometria, a misteriosi schemi matematici, una danza pura con momenti di elevata raffinatezza e spiritualità: un lavoro rigoroso, complesso, come è nello stile di Anne Teresa De Keersemaeker, che ancora una volta va ad esaltare l’interazione tra suono e movimento e, seppur non di facile fruizione, riesce ad incantare un pubblico capace di andare in profondità.
Oltre agli spettacoli, il festival anche quest’anno ha offerto eventi speciali, rassegne cinematografiche, mostre, installazioni, tavole rotonde, convegni, rendendo Spoleto un riferimento per artisti, addetti ai lavori e semplici spettatori, un luogo vivo della creazione che, in tempi così bui e parafrasando il suo ideatore Gian Carlo Menotti, rappresenta davvero una vacanza dell’anima.
Crediti foto: ©Festival di Spoleto | Andrea Veroni.