Cagliari. Cantante lirico di fama internazionale, scrittore e da alcuni mesi Presidente della Conferenza dei Presidenti dei Conservatori di Musica italiani: Gianluca Floris è un professionista della cultura che ha saputo trasformare la sua grande passione in impegno istituzionale e civile. Inizia gli studi musicali a Cagliari, sotto la guida della Prof. Alessandra Atzori. Nel 1991, dopo aver vinto la prestigiosa selezione del Luciano Pavarotti International Voice Competition, confrontandosi con alcuni dei talenti più promettenti provenienti da tutto il mondo, inizia la sua carriera come tenore solista al teatro Regio di Parma. Da lì in avanti tanti successi e l’incontro con personalità di spicco della lirica: Lorin Maazel, Zubin Metha, Daniel Oren, Iuri Temirkanov, Daniele Gatti, Renato Palumbo, Nicola Luisotti, Michele Mariotti, Jonathan Webb, Bruno Bartoletti, sono alcuni dei direttori con i quali ha avuto una collaborazione continuativa. Ha preso parte a rappresentazioni nei più prestigiosi teatri del mondo, ricoprendo ruoli difficili con quella naturalezza che è propria delle grandi voci. Lo incontriamo a poche settimane dalla sua nomina come Presidente di ASSOLIRICA – Associazione Nazionale Artisti della Lirica, un ente nato con l’obiettivo di riunire tutti i professionisti della lirica che svolgono la professione nel panorama teatrale italiano, europeo e mondiale.
La tua esperienza professionale è segnata dal compimento di tante attività. Quale ritieni essere stata quella determinante per la tua brillante carriera?
Ho iniziato la mia carriera nel mondo dello spettacolo a sedici anni. Ero al penultimo anno di Liceo Classico quando entrai in una radio privata: una delle radio del network nazionale di Paese Sera, l’allora quotidiano molto diffuso. Mi occupavo di conduzione, regia tecnica e regia programmi.
Da quella esperienza passai ad occuparmi dei documentari naturalistici e industriali: decisi di fondare, insieme ad altre persone, una società di videoproduzioni che ancora oggi opera attivamente.
Conobbi la lirica da regista di un documentario e fu dapprima interesse, poi odio (per le grandi sofferenze dell’inizio carriera), e poi amore eterno. Da quando vinsi la finale mondiale del concorso di Luciano Pavarotti a Philadelpha, smisi di lasciarmi distrarre da tante cose e mi concentrai soltanto sul mio mestiere di interprete.
Mi accorsi ben presto che il vero amore che stava sbocciando dentro era quello per il teatro.
Cantare era quello che avevo sempre fatto sin da piccolo, con gli amici o da solo. Diventare cantante lirico alla fine non fu “strano” perché cantare aveva sempre fatto parte di me.
Fu la fascinazione per il teatro, per il dietro le quinte, per la magia del costruire uno spettacolo e di mostrarlo al pubblico ad avere la meglio su di me. E da lì le prime esperienze registiche, sia di prosa che di lirica.
Parallelamente iniziai a mettere su carta alcune delle storie che mi ero portato dentro negli anni, fino a pubblicare romanzi per Mondadori e per Piemme, oltre ad altri racconti sparsi. Scrivere è il mio mezzo di comunicazione preferito, assieme al canto.
Se devo trovare un elemento determinante per la strana e varia mia carriera, dovrei dire la curiosità. Sono un curioso vorace e tuffarmi in una nuova avventura è quello che fa di me quello che sono. Una nuova storia, una nuova opera da studiare e da interpretare, un nuovo luogo da visitare, un nuovo ruolo da ricoprire, un nuovo viaggio. Vivo costantemente proiettato nel futuro, nei progetti e nella pianificazione del mio lavoro. Il passato non mi affascina più del giusto dovuto. Sono sempre rivolto a quello che farò domani.
Hai assunto, da Presidente del Conservatorio di Cagliari, il prestigioso incarico di Presidente della Conferenza dei Presidenti dei Conservatori di Musica in un momento di crisi profonda del sistema AFAM. Quali sono le urgenze di cui occuparsi per garantire il pieno sviluppo della Alta Formazione Artistica e Musicale che tutti noi auspichiamo?
In questi sei anni di esperienza da Presidente di un’Istituzione AFAM ho imparato che l’Italia soffre del cronico disturbo di non capire quanto questo settore sia importante per il nostro Paese. Una disattenzione che è della classe politica, trasversale a qualsiasi schieramento, e che è figlia della scarsa consapevolezza del popolo italiano di quanto l’Italia sia famosa nel mondo, principalmente per la musica, l’opera, il Teatro, l’arte, la danza, la moda e il design. Tutte cose che si insegnano nelle istituzioni AFAM. Purtroppo nessun governo ha mai – in concreto – fatto nulla per il nostro settore. Quando il Ministero comprendeva Scuola, Università, Ricerca e AFAM, il pensiero dei politici tutti, dal ministro alle commissioni parlamentari, era rivolto solo alla Scuola, perché è uno dei più grandi serbatoi di voti e di consenso elettorale. L’Università – che ha numeri inferiori – veniva trascurata e la Ricerca e l’AFAM completamente dimenticate.
Adesso che il Ministero è stato di nuovo scorporato in Istruzione da una parte (Ministero dell’Istruzione) e Università, Ricerca e AFAM dall’altra (Ministero dell’Università e Ricerca), per noi dell’AFAM non è cambiato molto, nella sostanza. I provvedimenti più urgenti vengono subito presi per l’Università, ma per l’AFAM i provvedimenti arrivano sempre in ritardo, se arrivano. Basti pensare che ancora non esiste al Ministero un Direttore Generale AFAM e ancora non sono stati emanati tutti i decreti attuativi che la nostra riforma del 1999 richiede da allora.
Le nostre urgenze sono tantissime: autonomia, edilizia, arruolamento dei docenti, riforma della governance (non abbiamo un dirigente all’interno dei Conservatori di Musica e delle Accademie di Belle Arti, anche se siamo enti appaltanti), abbiamo ancora le graduatorie nazionali come nella scuola (pur essendo equiparati alle Università dal 1999).
Come ciliegina finale c’è il fatto che un ragazzo che vuole oggi studiare in Conservatorio, ci entra dopo il diploma di scuola superiore e quindi a diciotto anni, più o meno. L’età nella quale nei concorsi internazionali gli studenti di altre nazioni stanno affrontando le finali più prestigiose.
Oggi uno studente di Conservatorio – dopo la riforma del 1999 – deve studiare moltissime materie nel suo piano di studi e deve sacrificare lo studio dello strumento principale. Questo è un bene per la sua preparazione culturale complessiva ma una perdita enorme del patrimonio tecnico musicale italiano.
Ci apriresti il cassetto dei desideri raccontandoci un sogno, professionale e non?
Vorrei mettere a disposizione tutto quello che ho imparato come artista, come amministratore e come Presidente di organismi nazionali del settore artistico e vorrei farlo occupandomi di un teatro. Una sovrintendenza o una direzione artistica credo che sarebbero lo sbocco naturale del mio curriculum così come l’ho costruito.
Ma bisognerà attendere che la politica decida di affidare le nostre opera house a nuove energie. All’orizzonte non vedo un cambio di passo. Ma continuo a lavorare in tal senso.