Milano. Dopo la fortunata tournée del 2018/2019 con “La grande storia dell’impressionismo”, Marco Goldin torna al Teatro Manzoni il 9 ottobre con un nuovo spettacolo, intitolato “Gli ultimi giorni di Van Gogh”- Il diario ritrovato, di cui cura anche la regia. Spettacolo che fa parte di un vasto progetto dal medesimo titolo, costituito da un romanzo, cinque puntate che inaugurano il canale podcast dello studioso trevigiano e ovviamente la rappresentazione teatrale con il contributo eccezionale determinato dalle musiche di Franco Battiato. Seguendo il ritmo del suo romanzo uscito da poco, “Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato”, edito da Solferino, Marco Goldin sale sul palcoscenico per raccontare, con la sua consueta affabulazione appassionata e coinvolgente, le ultime settimane della vita di Vincent van Gogh. Nel libro alla base dello spettacolo egli immagina che Van Gogh avrebbe potuto tenere un diario proprio in quelle settimane finali e per questo gli presta la sua voce. Ovviamente mai staccandosi dai fatti realmente accaduti eppure dilatando molti vuoti e altrettanti silenzi del pittore. In quelle settimane conclusive l’artista olandese scrive tra l’altro un numero minore di lettere rispetto al solito e parla di meno della metà degli oltre settanta quadri che realizza. Il romanzo e lo spettacolo sono quindi un continuo gioco di specchi e di rimandi, tra i colori, le parole e i silenzi nei quali quasi si adagiano le musiche di Battiato. Quel diario (“un quaderno un po’ lacero, di pelle verde scura, con dei ricami dorati e il dorso nero”) viene ritrovato casualmente da Arthur Gustave Ravoux, il titolare della locanda nella quale Vincent vive tra la fine di maggio e la fine di luglio del 1890. Mancano due settimane alla morte del pittore e Ravoux sale nella sua camera di sottotetto per rifargli il letto e trova il cassetto dello scrittoio appena accostato. Lo apre e scopre quel diario di cui nessuno conosceva l’esistenza, ma non lo dice nemmeno a Theo. Da questo espediente narrativo parte anche l’azione teatrale, nel parlare quasi tra sé e sé che Goldin fa come fosse colui che accompagna Van Gogh, e dunque osservandolo lo racconta. Tutta la scenografia punta moltissimo su un effetto di stupefazione davanti alle immagini dei quadri, i loro particolari e anche fotografie d’epoca. Oltre a una nutrita e suggestiva parte filmica appositamente girata nei luoghi di Van Gogh in Provenza, tra Arles e la pianura della Crau, le amate Alpilles e l’istituto di cura per le malattie mentali di Saint-Rémy nel quale scelse di stare per un anno. Poi i campi di grano e le strade di Auvers-sur-Oise, la casa del dottor Gachet e il fiume. Non mancano gli ambienti dell’Auberge Ravoux, dove Van Gogh ha vissuto nelle settimane finali. Così come non mancano, nelle immagini appositamente girate per lo spettacolo, i ricordi dei luoghi olandesi, e segnatamente la regione del Brabante nella quale era nato. Si tratta di un vero e proprio spettacolo nello spettacolo. Da assaporare restando seduti a teatro. Un aspetto, questo filmico, che viene continuamente rilanciato attraverso il grande schermo di sette metri, panoramico e infine arcuato, con proiezioni al laser in altissima definizione, che avvolge sulla scena Marco Goldin mentre racconta, arricchendo così enormemente la narrazione. Anche per effetto della lunga passerella che talvolta solleva Goldin, mentre vi cammina sopra, a mezzo metro dal livello del palcoscenico, rendendolo parte integrante dei paesaggi che scorrono alle sue spalle. E così è anche per i due ulteriori schermi che danno vita a quella sorta di scatola magica che è la piccola camera di Van Gogh, con tre soli elementi fisici come un tavolino, una sedia e una lampada. Dal cassetto di quel tavolino, nella prima scena dello spettacolo, esce il diario da cui tutto ha inizio. A creare ancor di più questa atmosfera spirituale, eppure densa della carne e dei sogni della vita di Van Gogh, contribuiscono le splendide musiche di Franco Battiato, eccezionalmente concesse per questa occasione. Sono tratte per metà dal suo Gilgamesh, uscito giusto trent’anni fa, poi dal Telesio e da quell’album così particolare e nuovo che fu il Joe Patti’s experimental group. Vengono inclusi anche due brani che per diversi motivi restano mitici all’interno della discografia di Battiato. Il primo, “Luna indiana”, dall’album storico “L’era del cinghiale bianco”, porta sulla scena anche la suggestione, accennata nella parte finale del pezzo, della voce del compositore siciliano in mezzo ai campi di grano, mentre il secondo sarà la sola parte strumentale – trascinante con la Royal Philharmonic Concert Orchestra – del suo vero e proprio testamento, “Torneremo ancora”. Nella regia, Marco Goldin ha abbinato questa traccia musicale a una delle scene più toccanti dell’intero spettacolo, quando Vincent, pochi giorni prima di morire, si rivolge direttamente al fratello Theo, quasi per un bilancio del loro rapporto. In quel momento la musica si associa alla lettura di due pagine del diario, mentre straordinarie riprese dai droni colmano l’intero spazio degli schermi sul palcoscenico, con immagini dei campi di fiordalisi e papaveri nel Brabante, appena fuori Nuenen nella zona del mulino di Coll, e infine campi di grano ad Arles, nella zona della Crau dipinta da Vincent, e a Auvers. Tutte insieme, e nell’uso mai gratuito e invece sempre motivato che ne viene fatto, queste musiche costituiscono una parte fondante, un legame ancor più poetico per l’intero spettacolo. Battiato amava Van Gogh e davanti alle sue opere si trovava a parlarne proprio con Marco Goldin. Musiche che dalla scena iniziale, quando l’apertura del sipario svela il primo luogo dell’azione teatrale, conducono a quella conclusiva. Esse non sono mai utilizzate quale mero tappeto sonoro rispetto alla narrazione, e costituiscono invece l’accompagnamento ad alcune letture dal diario e spesso vivono in una loro assolutezza nel rapporto con i quadri e i paesaggi. Ci sono infatti nello spettacolo certi momenti in cui il dialogo tra musica e colore vive unicamente al centro della scena, attraverso creazioni video di forte fascino artistico ed emozionale, strettamente connesse alle musiche di Battiato. Fino alla scena conclusiva, quando Van Gogh, sul punto di morire, rivede come in parata, accanto a Theo che gli tiene la mano, il suo passato colmo d’incanti. A quel punto saranno solo i campi di grano e la luce delle stelle che entra dal piccolo lucernario sopra un uomo che sta per andarsene. Prima di tornare ancora.