Roma. Mercoledì 13 luglio, presso l’Auditorium Parco della Musica, si è esibito Herbie Hancock, pianista, tastierista e compositore jazz statunitense.
Il concerto ha subito ben due rinvii a causa dell’emergenza pandemica: programmato nel 2020, è stato poi riprogrammato nel luglio 2021 e nuovamente nel 2022.
L’esibizione comunque è decisamente valsa l’attesa: il pubblico italiano ha potuto godere di un’ora e mezza di musica senza interruzione nella splendida cornice dell’Auditorium. Il compositore 82enne (e non era neanche il più anziano del gruppo) ha suonato in quintetto e più precisamente accompagnato da chitarra, basso, percussioni e, naturalmente sax.
Una musica che è fluita con piacere in una sera estiva fuori dal tempo. Le note si potevano toccare, respirare con pienezza.
Hancock ha aperto con un’overture di tutti i brani che avrebbe eseguito, fondendo il jazz con il colto mondo classico, secondo lo stile che lo contraddistingue. La sua elegante sperimentazione e profonda ricerca musicale è emersa sul palco in modo cristallino e, anche per questa ragione, è stato apprezzato pure dal pubblico che meno conosceva i suoi lavori.
L’artista statunitense si è alternato tra pianoforte, tastiere, synth e keytar lasciando spazio anche a qualche breve frammento vocale. Incredibile la presenza scenica, sapendosi destreggiare con simpatia anche di fronte ad alcuni e ripetuti problemi tecnici legati al synth.
L’acme si è raggiunto con l’ultimo e famosissimo brano “Chameleon” che ha fatto alzare in piedi e ballare l’intera platea in prossimità del palco, secondo i canoni più propri dei concerti rock. In sostanza, un clima di relax in cui non si è assolutamente percepito il velo di separazione tra il pubblico e l’artista, nonostante si trattasse di un’autentica leggenda tra i compositori contemporanei. Al contrario, si è mantenuta l’atmosfera informale dello jazz club, primo palco della carriera di Hancock. L’artista ha salutato il pubblico lasciandolo con il desiderio palpabile di ascoltare un ultimo bis.
Pianista e compositore leggendario, Herbie Hancock è stato parte integrante di ogni rivoluzione musicale dagli anni ‘60. Come componente del Quintetto di Miles Davis ha aperto la strada a un suono rivoluzionario nel jazz, ha poi sviluppato nuovi approcci nelle sue registrazioni e, negli anni ‘70, con album da record come “Headhunters”, ha combinato il jazz elettrico con funk e rock in uno stile innovativo che ha inciso anche sulla musica contemporanea. Una carriera caratterizzata da molteplici fasi musicali: non può dimenticarsi, ad esempio, l’approfondita sperimentazione in opere come “Mwandishi”, lavoro evocativo delle sonorità africane cui il compositore è legato per origini.
Nell’arco della sua carriera Hancock ha ricevuto un Oscar per la colonna sonora di “Round Midnight” e 14 Grammy Awards, tra cui un Album of the Year. Peraltro, l’Oscar è stato vinto nel 1987 anno in cui, in lizza per la vittoria finale, tra gli altri, aveva ricevuto la nomination anche Ennio Morricone per le musiche di “The Mission”.
Nonostante il calibro dell’artista e l’eccezionalità del concerto, la sala non era piena, probabilmente complici i continui rinvii della data. Va comunque segnalato che si tratta di una musica complessa per quanto scorrevole. Hancock, infatti, ha proseguito il “tour” italiano con un’unica altra tappa: l’Umbria Jazz, platea sicuramente più educata all’ascolto di questo genere musicale.
Si può dire che, con la performance tenutasi all’Auditorium, Herbie Hancock insieme al pubblico ha oltrepassato i suoi confini personali per scoprire nuove possibilità: si tratta di un concetto imparato con Miles Davis che, come il compositore scrive nella sua autobiografia (“Possibilities”, Minimum Fax edizioni, ndr), è stato paradigma in musica così come nella vita.
Crediti foto: William Ellis.