Napoli. Al Teatro Bellini dal 25 gennaio al 2 febbraio “I parenti terribili”, produzione TSV – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini e Teatro Stabile di Bolzano.
Un capolavoro, come definito da Milvia Marigliano (nei panni di Zia Léonie): “Non so se sia una tragedia o una farsa ma è un capolavoro”.
Filippo Dini regista e interprete di Georges (padre/marito) porta sulla scena ancora una volta i rapporti familiari di un nucleo piccolo borghese, “un carrozzone”, avendo sempre particolare attenzione verso la figura femminile, questa volta però nel ruolo di moglie/madre.
Nella sua personale indagine del dramma borghese attraverso “Casa di Bambola” prima e “Agosto in Osage County” poi, lo fa ora proponendo una lettura ironica, sarcastica, talvolta pungente dell’opera di Jean Cocteau nella traduzione di Monica Capuani che, sebbene in chiave contemporanea, risulta molto più aderente di altre (il pensiero va a quella di Luchino Visconti) al modo di intendere il pensiero e la vita del suo autore.
Questi infatti – secondo Dini – ha sempre mostrato empatia per il mondo e i suoi protagonisti osservandoli nella povertà delle loro vicende umane, senza giudizio, spesso con un sorriso amaro – che è quello che suscita lo spettacolo del Bellini – evidenziando sì le loro fragilità e debolezze, indicando però alla fine nella solidarietà e nella condivisione la via d’uscita positiva, da percorrere nonostante il finale tragico.
Fu proprio l’ascolto dell’esperienza vissuta dal suo compagno di vita Jean Marais ad avere ispirato Cocteau nella scrittura di questo dramma che ha una tale profondità proprio per la sensibilità e la capacità di immedesimazione del francese.
La storia è quella di Yvonne (Mariangela Granelli), moglie di Georges, che con la nascita del figlio Michel (Cosimo Grilli), ormai ventenne, riversa su di lui tutte le proprie attenzioni, a tal punto da farne la sua unica ragione di vita e da non accorgersi – anche perché la cosa non le interessa – che il marito la tradisce con una ragazza di 25 anni, Madeleine (Giulia Briata).
La rappresentazione si apre con una scena onirica abitata da mostri, in cui Yvonne si abbandona a un rapporto incestuoso con Michel, salvo poi attribuirne la responsabilità all’eccesso di insulina iniettatasi per curarsi dal diabete, anche se lo stato confusionale, la sonnolenza, la difficoltà nel parlare e coordinare i movimenti fa pensare agli effetti collaterali dovuti all’uso di oppio, di cui il drammaturgo faceva uso.
Non è un caso che l’intera vicenda si svolga tra le mura domestiche dell’abitazione di famiglia per poi spostarsi, seppur brevemente, in un appartamentino al piano terra che rappresenta il prolungamento della casa familiare, perché locato e pagato da Georges per la giovane amante, frequentato però da lei e da Michel.
Perché quello che si vuole evidenziare è la totale chiusura al mondo: Madeleine, l’unica estranea, viene prima rifiutata non per la sua relazione con un vecchio – Georges – ma perché viene ingiustamente accusata di avere un terzo uomo col quale tradisce Michel, salvo svelare la verità, per non riuscire i genitori a sopportare la disperazione del figlio per aver perso la donna amata ed così essere inglobata nel gruppo.
E della casa viene scelta la camera da letto, il luogo più riservato della famiglia, in cui al centro campeggia il letto matrimoniale sul quale solo in un paio di rare occasioni Georges si siede ai suoi piedi e Léonie accanto alla sorella per ascoltarla, perché il letto è abitato esclusivamente dalla madre e dal figlio, quest’ultimo vi sale pure in piedi con le scarpe.
Mentre Léonie e George ne toccano solo le lenzuola per mettere ordine e consentire il cambio di ambiente (le scene sono di Maria Spazzi), proprio perché madre e figlio si sono creati il proprio micro cosmo chiuso, inaccessibile, rappresentato visivamente dal letto.
Le due case sono simili nei colori, prevale il bianco che contrasta con gli abiti colorati dei protagonisti (i costumi sono di Katarina Vukcevic) negli arredi minimali, ma mentre nella stanza da letto prevale il disordine, nel soggiorno di Madeleine è tutto ordinato fino a quando non si consuma il dramma familiare e allora la crisi affettiva si manifesta nel buttare all’aria i libri, gli oggetti, che assomigliano in questo modo sempre di più all’altra abitazione.
L’unica che cerca di mettere ordine in casa e nei sentimenti è la zia da sempre innamorata del cognato e che spera di riconquistare attraverso il fatto di rendere pubblica la relazione con Madeleine.
In questo continuo urlare, sovrapporsi di voci, di battute è evidente l’incapacità di comunicare e di comprendere veramente l’altro, perché ciascuno è concentrato su se stesso e sui propri bisogni.
Emerge il profondo egoismo di Georges nel bel dialogo a un tempo divertente e profondo con Léonie in cui confessa la sua relazione con la giovane e i soldi che le ha chiesto, e di come siano serviti per mantenere l’amante, che a sua volta li ha usati per Michel.
Sono entrambi seduti sui comodini utilizzati a mo’ di sgabello, posizionati a ridosso della ribalta ed è uno dei pochi momenti in cui i toni sono più moderati, Georges però non pare cogliere che la cognata continua a essere innamorata di lui o se lo fa non se ne cura, lui è preso dalla scoperta che lui e il figlio amano la stessa donna, in quanto è meglio “non rovistare troppo nel cuore, perché nel cuore c’è di tutto” .
Perché se pure lo facessimo e scoprissimo cosa vi contiene nulla potremmo fare, i rapporti vanno costruiti col tempo e soprattutto con la voglia di farlo e questo significherebbe per un po’ abbandonare il proprio egoismo.
Tutti gli attori sono stati perfetti nella loro parte, frutto di uno studio approfondito delle caratteristiche dei personaggi.