Firenze. Al Teatro di Rifredi, dal 15 al 17 dicembre alle ore 21, tornano “I promessi sposi”, brillante rilettura del capolavoro di Alessandro Manzoni firmata da Angelo Savelli, che ne cura anche la regia insieme a Ciro Masella. Lo spettacolo è prodotto dal Teatro della Toscana. Una compagine di giovani attrici e attori – Olmo De Martino, Mauro D’Amico, Antonio Lanza, Fabio Magnani, Simone Marzola, Diletta Oculisti, Elisa Vitiello – scrolla via un po’ di timorosa soggezione dalle pagine dell’immortale testo utilizzando una delle più autentiche e spesso ignorate peculiarità della scrittura del Manzoni: l’ironia. E se il capolavoro di Alessandro Manzoni, l’epopea di Renzo e Lucia nella Lombardia del Seicento, tra Grande Peste e dominazione spagnola, celasse al suo interno una deliziosa commedia, anzi due? Nascono da qui “I promessi sposi, ovvero: questo spettacolo non s’ha da fare”. Il lavoro, un’originale riscrittura dell’omonimo romanzo storico a opera di Angelo Savelli, che ne firma anche la regia insieme a Ciro Masella, mette in scena da un lato la commedia della gente semplice, quasi una Commedia dell’Arte, in cui due umili innamorati cercano tra mille peripezie di fare quello che più desiderano: sposarsi. La seconda è una commedia delle umane passioni, filosofica, dove un’intera umanità di umili e di signori, di buoni e di cattivi, arranca con le sue carrette e carrozze polverose, cariche di gioia, di rabbia, di desiderio, di paura, verso quell’orizzonte “dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò”. «Siete sicuri di non esservi scordati quanto è bello “I promessi sposi”? – dicono i registi dello spettacolo. – Vi siete forse dimenticati di quanto è avvincente e anche divertente? Di quante universali riflessioni sugli uomini e la storia è intessuto? Di quale disincantata ironia è intrisa la penna del Manzoni? O ricordate solo i noiosi obblighi scolastici o le scanzonate parodie del trio Marchesini/Lopez/Solenghi, perdendovi quello che di bello c’è nel mezzo? Ebbene, questo è il momento di rinfrescarvi le idee, guidati dalla spigliatezza e dal dinamismo di sette giovanissimi interpreti “manzonizzati” a dovere. Fatevene una ragione: questo è uno spettacolo “provvidenziale”». Due commedie dunque: la prima tutta azione e travestimento, raccontata inscenando un teatrino dalle cadenze ironiche; per la seconda lo stesso teatrino sarà spogliato fino alla nudità esistenziale delle vite dei personaggi. Nella prima domina il Seicento, il secolo della sistematica violazione del Diritto, rappresentato nello spettacolo da tre figure emblematiche: Azzeccagarbugli, l’avvocato che non fa giustizia ma la ingarbuglia per venderla al miglior offerente, Don Abbondio, il prete che non segue la religione ma le intimazioni dei potenti, e Don Rodrigo, il nobile che non governa i sudditi ma sottrae loro le mogli. Il culmine sarà “la notte degli inganni” che è anche il momento a partire dal quale la seconda commedia prende il sopravvento. Da questo punto in poi non c’è quasi più azione ma piuttosto la deriva dei personaggi, fino all’immancabile lieto fine nel quale però – come nota il critico letterario Giovanni Macchia – “si respira un’aria che turba”. Infatti su tutti e tutto si stende l’ala della Provvidenza che, come un grande occhio indifferente alle passioni umane, getta il suo sguardo fatale sul compiersi degli eventi.