Milano. Fra i molti titoli calviniani “Il barone rampante” del 1957, che faceva parte della trilogia “I nostri antenati” insieme a “Il cavaliere inesistente” e “Il visconte dimezzato” costituisce probabilmente quello più sorprendente. Narra, infatti, la storia ambientata nel Settecento di Cosimo di Piovasco di Rondò, figlio di una famiglia nobile, che, ancora dodicenne, un bel giorno si rifiuta di mangiare un piatto di lumache servito alla nobiliare tavola di famiglia e, rimproverato aspramente, abbandona la tavola e se ne fugge via arrampicandosi su un alto albero del giardino.
Lo spettacolo che ha registrato il sold out al Piccolo Teatro di Milano, e che è in scena fino al 5 febbraio, ne costituisce una brillante rappresentazione teatrale.
Il registra Riccardo Frati, che già si era fatto notare per “Il piccolo principe” del 2020 e che ha curato il visual design di un altro capolavoro del Piccolo dal titolo “M il figlio del secolo” con Massimo Popolizio, riesce a tenere attento il pubblico per ben tre ore e con un solo intervallo.
La storia, così come nel libro, è raccontata dal fratello di Cosimo, Biagio, magistralmente interpretato da Giovanni Battaglia, e la fedeltà al testo ben si coglie sia dai costumi, tipicamente settecenteschi, sia dalla scena costruita su due livelli: il piano aereo sui rami degli alberi ove Cosimo vive dai 12 anni alla fine è reso con scale di legno oblique e corde che calano dall’alto e restano sospese sul palcoscenico.
Sulla scena compaiono sette attori: Mauro Avogadro, Giovanni Battaglia, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Marina Occhionero, Francesco Santagada. Sono tutti molto convincenti e riescono a divertire lo spettatore.
Sono assolutamente sorprendenti i giochi di luce: quella “dell’amore allo specchio” in cui le figure di Cosimo e Viola si stagliano come ombra in un rosso – arancione e si sente la ben nota citazione “Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così”, quella del bosco in fiamme e quella finale nella quale Biagio offre una visione apocalittica del bosco, con gli alberi morti e Ombrosa che non c’è più.
A chi scrive sembra assolutamente riuscito l’esperimento di Riccardo Frati che ha dichiarato che nel lavoro di trasposizione teatrale si sono rivelate quali punti di riferimento cardine le prime tre conferenze delle “Lezioni americane” sulla Leggerezza, la Rapidità e l’Esattezza. In realtà queste tre qualità calviniane ben si colgono non solo dalla costruzione dei personaggi, ma soprattutto emergono con tutta evidenza nell’esito dello spettacolo, nel contesto del quale la complessità dei temi e del testo emerge senza minimamente appesantire ed anzi si stemperano, a tutto vantaggio della possibilità di cogliere i vari livelli di lettura del romanzo.