Il concetto di tentazione declinato in “The Garden of Eden”: incontro con l’artista Angelo Accardi

Miami. Dopo le personali a Venezia, New York e Londra, la copertina dell’Atlante dell’Arte Contemporanea, la Biennale di Venezia e quella di Dakar, Angelo Accardi è stato, da ultimo, protagonista all’Art Basel di Miami.
Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio il suo mondo, in cui sogno, ironia e profondità convivono, generando arte capace di parlare tanto al cuore quanto alla mente.
L’artista ci ha condotto in un viaggio tra tentazioni simboliche, paradossi temporali e l’ironia di un linguaggio visivo in continua evoluzione: tra mostre che dialogano tra cultura pop e riferimenti classici, passando per le ultime prestigiose esperienze, Angelo Accardi ci ha parlato delle sue ispirazioni, del suo processo creativo e dei simboli che hanno maggiormente caratterizzato la sua produzione.

“The Garden of Eden” si ispira al concetto di tentazione. Come nasce l’idea di questa mostra e in che modo il giardino simbolico dialoga con le tematiche contemporanee che affronta nelle sue opere?

È stata un’intuizione legata alla natura umana che tende a inseguire la bellezza. Al contagio della bellezza è legato un ideale di felicità, con la nostalgia di un paradiso perduto. Perseguire quell’ideale ha innescato una serie di meccanismi virtuosi che hanno permesso di evolvere nella sfera umana da sapiens a tecnologicus in meno di 20mila anni, un’era geologica risibile rispetto alla storia dell’universo. Per dirla con Oscar Wilde: “Posso resistere a tutto, meno che alle tentazioni”. La madre di tutte le tentazioni descritta nella genesi è comune un po’ in tutte le religioni monoteiste, ma solo in quella cristiana è associata al concetto di peccato originale. Quando guardiamo la bellezza pensiamo di non meritarla, ma ci spetta di diritto perché – lontano dal concetto di possesso – siamo tutti in grado di riconoscerla e goderne, che sia un’opera d’arte o un tramonto.

Il suo personalissimo stile è caratterizzato dal connubio tra cultura pop, surrealismo e riferimenti al passato. Come sceglie gli elementi da integrare nelle sue composizioni, così da bilanciare il dialogo tra classico e contemporaneo?

“In principio è sempre il sogno” diceva Buzzati, ed è stato così per il surrealismo storicizzato di Breton: attraverso la scrittura automatica, la trance art si materializzava come un ectoplasma generato da chissà quale potere divinatorio o semplicemente dall’inconscio. Lasciare spazio a una componente così importante dell’esistenza come quella oscura e misteriosa dell’inconscio per gli artisti dell’epoca, in concomitanza con l’uscita de “L’interpretazione dei sogni di Freud”, apriva a visioni fantastiche e apparentemente incomprensibili. Il movimento Lowbrow riprende le tematiche surrealiste, ma immettendo elementi del mondo underground in contrasto con la cultura alta espressione del mondo accademico. Mi sono ispirato a quel mondo interpretando il surrealismo in chiave pop, mettendo in relazione elementi che tra di loro stridono e che nella realtà non si possono incontrare.

La figura dello struzzo nella serie “Misplaced“ è diventata iconica. Cosa rappresenta per lei oggi questo simbolo, e come si inserisce nell’evoluzione del suo linguaggio artistico?

Lo struzzo è un passe-partout che ha anche licenza di uccidere, per lo meno la noia. Sì, è un elemento destabilizzante che ha colonizzato le mie rappresentazioni, ma che nella società liquida rappresenta quel sentimento di smarrimento che tutti abbiamo provato almeno una volta, e che Bauman descrive molto bene nel suo saggio “Liquid Fear”. Dare forma a questa sensazione di pericolo imminente ci dà l’illusione di poterla controllare.

Le sue opere spesso generano paradossi temporali e logici. Quanto spazio assume l‘ironia all’interno del suo processo creativo e da dove nasce l’ispirazione per l‘incontro tra personaggi di diversi periodi storici, animali e figure animate in un determinato luogo?

Rivivono i miei autori preferiti presi dalla storia dell’arte o contemporanei, insieme a eroi dei fumetti o dello star system, senza soluzioni di continuità e senza interrogativi logici, ma solo semantici. Per quanto riguarda i luoghi sono sempre a noi noti: Musei, Gallerie, spazi urbani, invasi dagli struzzi (il caos creativo) e talvolta da rinoceronti che uso come sentinelle a vegliare sulle opere esposte minacciate dagli struzzi (animali imprevedibili) o da dispettosi scimpanzé. Poi ci sono gli agenti provocatori come i Minion e i padroni del mondo a scontare preventivamente una legge del contrappasso tutta personale.

Sappiamo che è reduce da una cinque giorni nell’ambito dell’Art Basel di Miami proprio con la sua ultima mostra. Quali suggestioni le ha restituito quest’ultima esperienza e in che modo ha arricchito il suo percorso artistico?

Art Basel Miami è diventato nel tempo l’appuntamento più importante del settore. Quest’anno ero presente al Padiglione di Start, la società partner del Metropolitan Museum of Art di NY che ha scelto “Violet” una mia opera scultorea (visibile oggi presso Eden Gallery di Soho), per illustrare la copertina del Nuovo Atlante dell’Arte Contemporanea. In più avevo una larga rappresentanza nel padiglione Art Miami e un vernissage da Eden Gallery Miami. Cinque giorni molto intensi con incontri istituzionali e con i miei vecchi e nuovi collezionisti. Ho visitato un po’ tutti i padiglioni con grande interesse, e ciò che emerge anno dopo anno è un ritorno ai valori plastici. In questo mi sento sono un po’ un pioniere, ma mi fa piacere che dopo le ubriacature concettuali, trovo sano “back to the basic”.

Quali sono i suoi prossimi progetti e quanto il quotidiano influisce sul suo processo artistico?
Per scaramanzia non amo spoilerare su progetti futuri, del resto le mie origini campane/calabro/lucane/siciliane si fanno sentire. C’è anche da dire che su alcuni progetti ho la consegna del silenzio perché coinvolte istituzioni pubbliche, sempre instabili tra spoil system e scarsa programmazione culturale. Spesso, nell’ottica della sussidiarietà, alcuni amministratori sposano i nostri progetti come leva per il consenso, a costo zero per sostenibilità ambientale ed economica, grazie all’intervento di fondazioni o sponsor che possano farsi carico dei costi.

Crediti foto: Gennaro Verdoliva.

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