Crispiano. Che la genialità e la sregolatezza vadano spesso di pari passo è un luogo comune. Anche genialità e follia sono una coppia non troppo rara, soprattutto nel mondo dell’arte: un esempio è Wolfgang Amadeus Mozart. Ed è questo che troviamo nel Maestro Palmo Liuzzi, caratterizzato da tanta genialità, una porzione cospicua di sregolatezza e anche un pizzico di follia. Lo incontriamo per farci raccontare della sua musica.
Cosa l’ha spinta ad intraprendere il percorso musicale?
Devo dire che il tutto è avvenuto in maniera casuale. Verso i 12 anni mi è capitato di ascoltare un brano di Bach, una toccata organistica che ha creato in me una forte curiosità e una continua attrazione per la musica. Da quel momento in poi, i miei ascolti non si sono fermati ed ho conosciuto Mozart, Beethoven, altra musica di Bach, fino a quando non ho deciso che quella della musica doveva essere la mia strada, per me era diventata una ragione di vita! Ricordo che questa sorta di bruciare le tappe in pochi mesi mi creò inizialmente anche qualche difficoltà: ero molto giovane e non volevo strimpellare per passare il tempo, volevo diventare un musicista “vero” e forse spiazzai la mia famiglia, che non si aspettava che io avessi già a quell’età le idee così chiare su cosa avrei “fatto da grande”. Non sono stato, però, ostacolato in alcun modo e ho potuto serenamente compiere i miei studi in conservatorio: pianoforte, organo e, soprattutto, composizione e direzione di coro.
Qual è l’opera che le piace e che maggiormente la descrive?
Questa è una domanda a cui è davvero difficile rispondere. La fase creativa di ogni artista, e, quindi, anche di ogni compositore, è un percorso lungo praticamente tutta la vita, che viene influenzato da centinaia, forse migliaia di avvenimenti personali e sociali che poi si riverberano in ogni suo lavoro. La composizione è per me non un mestiere, ma una forte esigenza interiore; è un processo che si sviluppa e giunge a compimento dopo una elaborazione, a volte anche lunga, che porta a una sintesi tra le mie idee estetiche e musicali e le tecniche compositive, avviene quando sento di avere davvero qualcosa da comunicare attraverso la musica e di farlo in una maniera non banale: in questo senso, credo sia più corretto dire che descrive ogni mio lavoro piuttosto che nominarle il titolo di un brano in particolare, anche perché magari potrebbe essere uno dei miei lavori preferiti ma meno eseguiti e, di fatto, uno dei meno conosciuti sia dagli interpreti che dal pubblico.
Cosa ha composto?
Un po’ di tutto tranne l’opera. Quello del teatro lirico è un genere decisamente difficile da proporre oggi, benché in tanti luoghi e contesti riesca a dimostrare ancora una certa vivacità con alcuni teatri che commissionano nuove opere a grandi compositori: in fondo, però, il pubblico dei melomani è abbastanza tradizionalista e non ama tanto le sperimentazioni del teatro contemporaneo, ma il repertorio che ha reso grande il melodramma italiano.
A quale sua opera è più legato e la descrive?
Altra domanda difficile! Anche in questo caso si va un po’ a periodi, ma almeno in questa circostanza qualche titolo è giusto farlo. Un pezzo a cui sono molto legato è lo “Stabat Mater” per coro che ho composto per la Cappella “Iconavetere” del Duomo di Foggia. Un brano abbastanza intenso che è stato scelto come brano d’obbligo al LXIV Concorso Polifonico Internazionale “Guido d’Arezzo” (2016), è stato eseguito numerose volte in Italia e all’estero ed inciso due volte: una grande soddisfazione! Ci sono, poi, dei brani per voci bianche e pianoforte, pubblicati ed incisi anch’essi che, oltre a vantare esecuzioni in concerto, sono stati studiati ed eseguiti in molte scuole italiane.
Quale genere di musica predilige maggiormente?
Se proprio devo parlare di generi di musica prediletti ne segnalo tre che ritengo importanti per la loro funzionalità e li sto coltivando molto in questo periodo. La musica da camera per più strumenti, perché a mio giudizio è un genere di condivisione e crescita artistica e umana che giustifica l’esistenza di una scuola di musica. Condividere e studiare insieme allontana dall’idea (purtroppo tante volte instillata proprio in conservatorio) che la carriera musicale sia solamente quella del solista e, allo stesso tempo, conduce gli artisti verso una musicalità molto matura. Viene poi la composizione per voci bianche, che ritengo importante per avvicinare i ragazzi alla musica sin da piccoli, per abituare i bambini almeno al canto e all’ascolto e per creare almeno in parte il pubblico del domani. Infine, mi piace comporre per coro, fare incontrare la musica con la poesia, realizzare lavori che tengono vivo il rapporto strettissimo che ci può essere tra testo e musica.
Cosa direbbe alle nuove generazioni che intraprendono un percorso musicale?
Alle nuove generazioni suggerirei di non farsi affascinare troppo dall’aspetto massmediatico né dalle potenzialità tecnologiche di oggi. È necessario fare esperienze positive ed istruttive e queste non scaturiscono da un video postato in rete ma da un rapporto serio, a volte anche severo, con i propri maestri e con i propri colleghi perché risulterà sempre al netto dei trucchi disponibili in tanti software. Essere frettolosi o, peggio, spregiudicati, ha spesso impedito che decollasse la carriera di tanti ragazzi dotati di talento cristallino, ma anche di fretta. Un direttore dirige bene un coro se prima ha cantato qualche anno in un coro: un apprendistato forse oggi giudicato troppo lungo, ma che garantisce uno spessore tecnico e artistico e che ci fa capire che non bisogna eccedere nella frettolosità, ma bisogna avere il desiderio di far bene. Attraverso una sola maniera: lo studio serio.