“Il principio di Archimede” in scena allo Spazio Diamante

Firenze. Arriva in scena allo Spazio Diamante, dal 7 al 10 marzo e dal 14 al 17 marzo, lo spettacolo “Il principio di Archimede” dell’autore catalano Josep Maria Mirò, uno dei maggiori drammaturghi contemporanei. A curare la traduzione del testo e la regia Angelo Savelli, reduce dal successo de “La bastarda di Istanbul”. Sul palco Giulio Maria Corso, attualmente impegnato nelle riprese de “Il paradiso delle signore”, Monica Bauco e Riccardo Naldini, tra i protagonisti de “La bastarda di Istanbul” e il giovane Samuele Picchi, proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia. In occasione del debutto romano Mirò ha anche presentato il suo ultimo libro “Teatro”, edito da Cue Press.

La vicenda de “Il Principio di Archimede” si svolge tutta nello spogliatoio degli istruttori di nuoto di una piscina, nell’arco delle poche ore che intercorrono tra le lezioni mattutine e quelle pomeridiane. I personaggi sono quattro: Jordi (giovane istruttore dal temperamento estroverso ed un po’ bulletto, amato dai ragazzini per la sua giovialità); Hector (giovane collega di Jordi dal carattere più riservato e conformista); Anna (la direttrice della piscina, competente e severa, segnata dalla precoce perdita del figlio); David (il padre di uno dei ragazzini che frequentano i corsi di nuoto, energico ed autoritario, ossessionato dai tanti pericoli in cui può incorrere il figlio.
Jordi, giovane ed estroverso istruttore di nuoto, durante un allenamento, dà un bacio a uno dei bambini che si è messo a piangere per paura dell’acqua. Questo gesto provoca le perplessità di alcuni genitori, già turbati da un caso di pedofilia verificatosi in una vicina ludoteca. Si innesca così una spirale di diffidenza che fa venire alla luce un contesto di pregiudizi e paure che porteranno dal sospetto alla psicosi collettiva, dall’indiscrezione alla crocefissione mediatica.

In apparenza “Il Principio di Archimede” sembra parlare di un caso di pedofilia, fenomeno sempre esistito, ma sul quale recentemente sembra che la società si sia decisa a riflettere ed intervenire con più decisione. In realtà il testo di Mirò ci parla anche d’altro. Questa è un’opera che parla della paura, dell’educazione e delle relazioni sociali. Ci parla del tipo di società in cui vogliamo vivere. In questo senso parla agli educatori, ai genitori ed ai figli e pone una domanda molto semplice: vogliamo una società dove, disgraziatamente, possono verificarsi delle crepe o addirittura degli abusi, ma dove sia ancora consentita la tenerezza tra gli individui; oppure una società dove si mettano in campo tutti i meccanismi di sicurezza per impedire ogni rischio, anche a costo di diventare tutti un po’ poliziotti e un po’ indagati? Una società dove tenere le distanze ed alzare muri così da essere sicuri che non succeda niente anche a costo di diventare apatici; oppure una società empatica esposta al rischio di sbagliare ma capace di piegarsi su se stessa e curare le proprie ferite? Il concetto di paura è un concetto che muove la nostra attuale maniera di vivere e di relazionarci. Secondo l’autore, 20 anni fa quest’opera non avrebbe avuto senso, tanto erano diversi i rapporti ed i modi di vivere dei ragazzini e dei genitori. In questi ultimi 20 anni, secondo lui, la nostra società si è americanizzata e, in nome della correttezza e della sicurezza, il sociale si è infiltrato nelle pieghe del personale. L’etica collettiva ha sostituito la morale individuale in una sorta di puritanesimo modernizzato ed ipocrita. Quello che quest’opera chiede è che il singolo spettatore, uscendo dal teatro, si posizioni moralmente su ciò che ha visto e s’interroghi sulla sua personale visione della società.

Due sono le caratteristiche principali dello spettacolo. La prima è che, dal punto di vista oggettivo, non sapremo mai la verità sulle reali intenzioni di Jordi, il cui carattere, pur marcatamente solare, viene tratteggiato con forti margini di complessità. Sta allo spettatore farsi un’idea della personalità del ragazzo. La rappresentazione si concentra invece sulle dinamiche interpersonali e sociali che si scatenano implacabilmente a partire da un evento la cui realtà o falsità diventa del tutto ininfluente rispetto agli effetti che produce. La seconda è che il susseguirsi delle scene della rappresentazione non seguono un ordine cronologico; andando avanti ed indietro nella vicenda, lo spettatore procede conformando la sua visione a seconda delle varie prospettive che gli offrono i quattro personaggi, riproducendo quella frantumazione con la quale nella realtà riceviamo le informazioni dai media o dai social network. Ed infatti nello spettacolo è presente anche il tema di Facebook, un linguaggio contemporaneo che, insieme ad altri consimili, ha modificato il nostro modo di pensare: molte volte le informazioni vanno più veloci della capacità che hanno gli individui di inquadrarle ed analizzarle con un po’ di profondità, restando così prigionieri degli aspetti più semplicistici, scontati ed urlati della comunicazione. Scritto con nerbo e senza una goccia di retorica, questo testo formidabile è al tempo stesso la rappresentazione della spirale che dalla paura porta alla violenza ed una metafora dell’ambigua verità.

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