Napoli. Giovedì 7 luglio alle ore 22:30, a Capodimonte, nel Giardino Paesaggistico di Porta Miano, Teatro In Fabula presenta “Il sogno di Morfeo” che rientra nel programma del Campania Teatro Festival, diretto da Ruggero Cappuccio, realizzato con il sostegno della Regione Campania e organizzata dalla Fondazione Campania dei Festival, presieduta da Alessandro Barbano. Lo spettacolo è scritto e diretto da Antonio Piccolo che – all’indomani della pubblicazione della traduzione in napoletano dell’ “Amleto”, uscita con il quotidiano “La Repubblica” il 25 maggio – torna in scena con Mario Autore, Antonia Cerullo, Melissa Di Genova, Emilio Vacca. Le voci registrate sono di Gianluca Bonagura, Giuseppe Cerrone, Marco Di Prima e Sara Missaglia. Lo spettacolo ha il sostegno del MIBAC e SIAE nell’ambito del programma “Per chi crea”.
Dopo “All’apparir del vero. Dialogo di Giacomo Leopardi e della Morte” e “Troia City, la verità sul caso Aléxandros”, diretto da Lino Musella, Antonio Piccolo ritorna al Campania Teatro Festival con il suo terzo testo che ha vinto il Premio “Scena&Poesia” 2019.
«Sono contento di tornare al festival, e ringrazio il direttore Ruggero Cappuccio di questa opportunità. Spero che la splendida cornice naturale del Bosco di Capodimonte possa far splendere i contenuti sognanti, positivi, floreali del nostro spettacolo».
Sinossi: All’Eremo dei Sogni il dio Morfeo, sua sorella Notturno e l’assistente Artemidoro di Daldi sono alle solite prese con l’invio dei sogni ai mortali. Una procedura particolare, che mescola la loro fantasia divina con le immagini e le percezioni immagazzinate dagli stessi sognatori in stato di veglia, nella loro vita cognitiva. Ecco il primo problema: ormai non si possono creare altro che incubi, e dei più grigi e mediocri, perché l’attuale vita cognitiva degli uomini altro non permette. Il dio Morfeo, asso dell’immaginazione, non ne può più: l’immaginario degli umani si è inaridito a tal punto che i sogni che si creano sono dei più noiosi e terribili. Anche se una sognatrice che ancora dà soddisfazione c’è: si chiama Alice e non solo fa dei bellissimi sogni, ma è capace di controllarli e divertirsi ad inventare, anche mentre li fa. Il suo ultimo sogno però sta durando più del dovuto, sembra non finire mai… Dopo una ricerca, Morfeo, Notturno e Artemidoro scoprono la verità: Alice non sta dormendo. Alice è in coma! Si mettono in testa di provare a svegliarla e salvarla. Ma le loro forze da sole non bastano. Si recano a Bubastis, nell’antico Egitto, nell’antro di Bastet, Dea del Sonno: una strana creatura, enorme, metà gatta e metà umana, che parla un linguaggio criptico da indovina. È solo la prima tappa del loro viaggio nel tempo, nello spazio e nel sogno, per salvare gli uomini e ricordare loro di sognare, e di comunicare con i propri sogni.
Note di regia a cura di Antonio Piccolo: A furia di studiare, siamo arrivati a saper quasi tutto dei sogni, in senso fisiologico e in senso psicologico. Eppure, nella vita di tutti i giorni, trascuriamo di riflettere su una banale verità: trascorriamo almeno un quarto della nostra esistenza sognando. Un quarto di esistenza importantissimo, in cui il cervello ha le stesse percezioni che ha nella veglia e forgia una parte fondamentale della nostra identità. Ne “Il Sogno di Morfeo”, coerentemente, si ribalta una regola estetica spesso applicata in teatro: non è la “vita vera” a stare in scena, ma la vita interiore. Abbiamo in scena l’Eremo dei Sogni e, dunque, il mondo del sonno; fuori scena, dietro le quinte e dietro il fondale, il mondo della veglia. È “la vita ad occhi chiusi” ad esser protagonista, quindi: un luogo che, da testo, “pare un circo, una navicella spaziale, lo studio di un alchimista e la cucina di uno chef”, nonostante sia capitanato da Morfeo, un dio dell’antichità. Ma il mito, liberamente adottato, qui rinasce dialogando col Presente. In scena, gli dei-clown armeggiano ironicamente con macchine bizzarre e dialoghi acrobatici, col fine ultimo di ritrovare senso e vivacità nell’Oggi. Non ci sono steccati di genere e non ci sono delimitazioni ferree nella scelta del pubblico a cui ci si rivolge: c’è la commedia, la tragedia, il realismo, la fantascienza, il paradosso, la recitazione brillante e quella intimista, scene corali, monologhi, addirittura accenni di musical; e c’è una storia che, partendo da invenzioni fantasiose, arriva ad Alice, personaggio a cavallo tra la fiaba e il contemporaneo più contemporaneo che c’è, ossia l’Universale. È il Vivere stesso, infatti, a farsi infine protagonista dello spettacolo, tanto nella sua gioia quanto nel suo male: un dilemma che riguarda tutti, i giovani come gli anziani, e non può avere recinti linguistici. Nessuno, del resto, ha mai preteso dai sogni di stare stretti in contorni troppo netti.