Roma. L’azione si svolge a Girgenti, nome antico dell’attuale Agrigento, cuore dell’entroterra siculo, anno 1920. Il “Maestro”, interpretato dal più autorevole attore della scena nazionale, Tony Servillo, vi fa ritorno, in sordina, per omaggiare il suo amico Giovanni Verga, alle soglie del suo ottantesimo genetliaco. L’occasione, invero, è anche triste e riporta alla mente la scena di “Nuovo Cinema Paradiso”, nella quale anche lì, è la morte a chiamare il ritorno al paese del protagonista. La scomparsa della balia farà in modo di comporre il primo intreccio della trama: l’incontro tra Pirandello e i due becchini (Salvo Ficarra e Valentino Picone). Sospeso in una perdurante crisi creativa, Pirandello decide di intrattenersi a Girgenti, dopo avere scoperto che i due strani soggetti si dilettano a fare teatro. Nofrio e Bastiano si definiscono “dilettanti professionisti” e stanno mettendo su un’importante pièce, in vista della quale Pirandello ritroverà la sua più intima ispirazione che darà vita al suo capolavoro.
Roberto Andò ci consegna un film altamente teatrale, in cui teatro e letteratura, realtà e finzione si fondono perdendo il confine delle loro rispettive dimensioni. Il teatro diventa la vita, ovvero il palcoscenico esistenziale sul quale scardinare le convinzioni sociali e strutturali di una società marcatamente positivista. Il teatro nel teatro porterà a rendere Pirandello il massimo esponente di una visione intrisa di interrogativi e dialogante col sé, ancorata alle dilaganti teorie psicoanalitiche del coevo Freud.
Tra gli altri interpreti troviamo attori eccellenti, formatisi perlopiù all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica tra cui: Luigi Lo Cascio, Renato Carpentieri, Fausto Russo Alesi, la straordinaria Aurora Quattrocchi, già al fianco di Servillo nel 2012, in “È stato il figlio” di Ciprì, Donatella Finocchiaro, Rosario Lisma, Galatea Ranzi ed altri. Prodotto da Attilio De Razza e Angelo Barbagallo per “Bibi Film” e “Tramp Ltd” con “Medusa Film” e Rai Cinema.
“La Stranezza”, regia di Roberto Andò, che ha curato anche il soggetto con Massimo Gaudioso, è quindi una commedia colta che mette al centro due grotteschi becchini, il cui eco shakespeariano è chiarissimo. Costoro infatti, macchiettisticamente, cercano di mettere in scena un dramma: “La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzo”.
Dal dramma nascerà allora la commedia, perché come ha scritto lo stesso Pirandello in “Sei personaggi in cerca d’autore”: “Io ho voluto rappresentare sei personaggi che cercano un autore. Il dramma non riesce a rappresentarsi appunto perché manca l’autore che essi cercano; e si rappresenta invece la commedia di questo vano loro tentativo, con tutto quello che essa ha di tragico per il fatto che questi sei personaggi sono stati rifiutati”.
La rappresentazione, come fedelmente ripercorsa nel film, andò in scena sulle tavole del Teatro Valle, il 9 maggio del 1921, dando luogo ad una rivolta degli spettatori che non la compresero per la sua strabiliante precorritrice modernità. In seguito rappresentata a Bologna e poi a Milano, divenne ben presto la più amata opera dell’autore siciliano.