Bologna. Debutta in prima assoluta al Teatro Arena del Sole di Bologna, da sabato 16 febbraio a domenica 3 marzo, “Menelao” di Davide Carnevali (menzione speciale della giuria alla prima edizione del Premio Platea 2016), portato in scena da Teatrino Giullare, una lucida riflessione sul concetto di “tragico” nella contemporaneità, attraverso la rilettura di uno dei miti più noti legati alla casa degli Atridi.
Menelao, l’uomo più ricco della terra, sposo della donna più bella del mondo, vincitore a Ilio e regnante di Sparta, ha tutto ma non la felicità. Intuisce che qualcosa non funziona nella sua vita apparentemente così comoda; eppure non è capace di cambiare la sua situazione. In scena un tavolo, centro della vita di un uomo comune che non accetta la sua mediocrità, e per questo si rifugia nella scrittura della sua storia: Menelao vive nell’ossessione di essere ricordato nei libri come un eroe cui i postumi renderanno omaggio. Dall’alto lo osservano gli dèi, che ridono di lui, eterno infelice; Elena non riesce a confortarlo e l’ombra di Agamennone lo tormenta. La condanna di Menelao è senza fine, la sua sofferenza non ha soluzione e la sua vita rimane sospesa in un limbo invalicabile, in cui traspare il dramma dell’uomo contemporaneo.
Come si legge nella motivazione della Menzione speciale del Premio Platea: “Il Menelao di Carnevali è un uomo in piena depressione. Tornato da Troia e riacquisita la moglie Elena, proprio quando dovrebbe sentirsi pienamente soddisfatto, si trova invece preda di angosce e infelicità. La mitologia greca viene abilmente intrecciata all’attualità e al mondo contemporaneo per sondare gli eterni meccanismi del desiderio”.
Sovrano e signore di una potente città occidentale, Menelao torna dalla guerra in Medio Oriente; una guerra fatta per questioni economiche, mascherate dietro l’inverosimile scusa dell’amore per una donna. Ma l’unico amore che conosce Menelao è quello per le idee e gli ideali propri della sua cultura, del suo sistema sociale e soprattutto di un sistema economico che riflette un determinato sistema di pensiero.
Quella occidentale è una cultura profondamente positivista, radicata nella logica di Aristotele e Hegel; una cultura del calcolo, del beneficio, che esige che a ogni elemento sia attribuito un valore stabile in modo da poter essere inserito in un sistema di scambio. Inquadrando la realtà in uno schema razionale, abbiamo l’impressione di poterla dominare: da qui il primato del certo sull’incerto, della forma sull’informe, del racconto sull’esperienza. Ma l’esperienza, ben lo sappiamo, non sempre è riducibile alla sua narrazione; e la realtà reale delle cose fugge inesorabilmente alla logica della definizione.
Menelao, figlio di una società in cui il mercato – come ricorda Zygmunt Bauman – tende a mantenere aperto l’orizzonte del desiderio perché questo non sia mai soddisfatto, il ricco borghese si trova alla mercè di aspirazioni eternamente incompiute. Non gli basta quel che la vita gli ha dato e brama ciò che non ha. Vorrebbe morire come un eroe, ma non è questo il suo destino; vorrebbe vivere felice come una persona qualsiasi, ma non si accontenta di esserlo. Come ogni uomo abituato ad avere davanti a sé molteplici opzioni, Menelao – per pietà o per paura – è incapace di sceglierne una, cadendo nello scacco di un’aporia a cui non vede soluzione. Così il non-eroe greco vive la peggiore delle tragedie: quella di una sofferenza che non conosce fine, una vita che non conosce redenzione, una storia che non conosce finale.
Un’idea esce dalla testa e la tragedia ha inizio. Tutta colpa della ragione.
Menelao si arrovella, affina a tal punto il conflitto con le sue aspirazioni da non riuscire più a far distinzione tra idee e azioni, incapace di vivere e di amare.
Tra libri e statue, segni della memoria, sotto lo sguardo severo degli dèi irriverenti, Menelao cerca una ragione alla sua vita e non la trova.
Non è riuscito a diventare quel che voleva essere, non è un eroe, non ha un posto da protagonista nelle storie, è solo un personaggio minore, e così inventa le proprie imprese e le scrive, tentando di costruire il proprio personaggio, un altro se stesso, un eidolon anche lui impedito a vivere.
Un cortocircuito tra reale e immaginario, un doppio gioco in cui pesano parole disperatamente comiche e in cui il mito affiora affrontando l’amore, il sogno, la coscienza, la morte.
Eppure Menelao ha tutto, vive nel benessere, ma non riesce a godersi la vita. E cercando vanamente la soluzione alla sua infelicità esce dal tempo, non vive, non muore.
Uno stallo depresso causato da desideri confusi, un uomo che si confronta con l’immagine che vorrebbe di se stesso, una tragedia contemporanea.