Roma. Lo scorso 5 gennaio l’assemblea di AIA (Associazione Italiana Artisti e Autori) ha eletto come Presidente la cantautrice (ma anche scrittrice ed attrice) Roberta Giallo. Durante una lunga conversazione telefonica abbiamo ripercorso la carriera dell’artista che ci ha parlato dei prossimi progetti e del suo nuovo impegno in AIA.
Puoi raccontarci come è nata la tua vocazione artistica e quali sono state le tue principali influenze in campo musicale?
La musica e l’arte in generale hanno sempre fatto parte della mia vita a partire dalla prima infanzia, anche grazie a mia madre che insegnava in un Istituto d’arte. Ho iniziato a suonare il pianoforte a quattro anni e mezzo e, successivamente, ho approfondito la mia conoscenza della musica classica studiando canto lirico. La decisione di fare della musica la mia professione è arrivata in età più matura, mentre frequentavo l’università a Bologna ed ho avuto la mia prima esperienza professionale di rilievo aprendo il concerto di Sting a Napoli, nel 2006. Poi ho conosciuto Lucio Dalla con il quale ho avviato una collaborazione che ha enormemente arricchito il mio bagaglio artistico. Lucio è stato per me un mentore ed un amico e ritengo che sia stato un privilegio aver potuto lavorare con lui.
Per quanto riguarda le mie influenze, amo dire che spaziano da “Debussy a Lauryn Hill” per sottolineare che ogni forma di espressione musicale (ma, più in generale, ogni forma d’arte) può costituire un’influenza ed una fonte di ispirazione. Dovendo scegliere soltanto alcuni nomi fra i tanti che mi vengono in mente, posso citare Maria Callas, le grandi voci della black music come Aretha Franklin e Nina Simone, The Beatles, Lucio Dalla… ma anche Virginia Woolf e Pier Paolo Pasolini.
Nel tuo ultimo album “Canzoni da museo” hai messo in musica alcune poesie di Giovanni Gastel, Davide Rondoni e Roberto Roversi. Come è nato questo progetto?
Credo fermamente nell’arte dell’incontro e durante la pandemia ho avvertito una profonda “solitudine”, intesa proprio come impossibilità di confrontarmi con altri artisti. Casualmente, appena uscita dal difficile periodo del lockdown di inizio 2020, sono stata invitata dall’editore Fabbri ad esibirmi nel Museo MAXXI di Roma dove era in corso una mostra di Giovanni Gastel. In particolare, ho partecipato alla presentazione di un libro scritto dallo stesso Gastel con Davide Rondoni (libro che contiene anche una mia breve dissertazione sul bello, per volere dell’editore Lamberto Fabbri). Avendo avuto modo di approfondire la conoscenza delle poesie di Gastel e Rondoni, ho avvertito subito la necessità, condivisa con gli autori, di metterne in musica le parole. Nello stesso tempo, Antonio Bagnoli (nipote ed editore di Roberto Roversi, nonché editore del mio romanzo d’esordio “Web Love Story”, pubblicato dalle Edizioni Pendragon) mi ha dato la possibilità, e la grande responsabilità, di lavorare su alcuni testi inediti che Roversi aveva scritto per Lucio Dalla. “Canzoni da museo” è nato così, da un lato la mia esigenza di poter finalmente dialogare con altri artisti e, dall’altro, l’incontro con le parole di tre grandi poeti (Gastel, Rondoni e Roversi), sicuramente diversi ma nei quali riscontro una notevole affinità, un tendere doloroso verso l’Assoluto.
Puoi darci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?
Per iniziare, il prossimo 20 gennaio è in programma la mia partecipazione, insieme ad Ernesto Assante e Valentino Corvino, allo spettacolo “Incontro con Lucio Dalla” a Montecarlo al Théâtre Des Variétés. A marzo, invece, riproporrò “l’Omaggio a Lucio” a Bologna, al Laboratorio San Filippo Neri, nel giorno del suo compleanno. Inoltre, sono previste a Roma alcune date dello spettacolo “All you need is love – l’economia spiegata con i Beatles”, nel quale affiancherò con i miei interventi musicali le lezioni di economia di Federico Rampini, accompagnata dall’Orchestra diretta dal Maestro Valentino Corvino. Quanto ai progetti discografici, ho in mente un lavoro piuttosto complesso (sul quale però non posso ancora rivelare alcun dettaglio) che mi porterà a confrontarmi con le opere di un grande poeta (e non solo poeta); c’è poi un album più vicino al genere pop sul quale sto lavorando da molto tempo e che spero possa finalmente vedere la luce. Infine, tornerò su due set: sarò la narratrice del documentario sulla Storia Del MEI – Meeting degli Indipendenti (di Marco Melluso, Diego Schiavo, Andrea Meli), e poi… non posso ancora rivelarlo!
Per gli artisti è spesso difficile spostarsi dall’ambito strettamente creativo verso un terreno che potremmo definire, in senso lato, “politico”. Da cosa è derivata la tua decisione di accettare un ruolo istituzionale come la presidenza di AIA?
Spesso gli artisti sono restii a far valere i propri diritti per timore di inimicarsi parte dell’ambiente e perdere dei possibili ingaggi e li capisco! Dal canto mio, non ho paura e non voglio averne più; in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando è richiesto a tutti noi di essere coraggiosi. Le difficoltà incontrate dai lavoratori del settore musicale a seguito della pandemia mi hanno fatto riflettere sulla pressoché totale assenza di tutele a favore della nostra categoria. Sono fermamente convinta che gli autori e gli artisti, se vogliono vivere dignitosamente del loro lavoro, debbano sacrificarsi, farsi portatori delle proprie rivendicazioni, al pari di qualunque altro lavoratore, focalizzando l’attenzione sui diritti che spesso gli sono negati. Penso, in particolare, alle tutele di carattere previdenziale ed ai sostegni insufficienti che la politica ha riservato al nostro settore. Per tutte le ragioni che ti ho appena elencato, quando il direttivo di AIA mi ha chiamato all’unanimità per ricoprire la carica di Presidente mi sono resa disponibile ad affrontare questa nuova avventura. Sicuramente mi condurrà fuori dagli ambiti che mi sono più familiari ma ho iniziato a lavorare e a “studiare” subito con grande entusiasmo, con l’umiltà di chi sa di avere sempre molto da imparare.
Nell’analizzare la classifica degli album più venduti del 2021 pubblicata da FIMI hai posto sui social un interrogativo apparentemente provocatorio: “il pubblico mainstream in Italia odia le donne?” Qual è il tuo punto di vista su questo argomento?
Tengo a precisare che la domanda che ho formulato sui social non era retorica ma ironica. Era mia sincera intenzione porre un quesito reale e stimolare una riflessione sulla scarsa presenza delle artiste ai vertici delle classifiche italiane, per cercare di comprenderne le ragioni ed eventualmente poter suggerire delle “soluzioni” condivise.
Partiamo da un dato di fatto inconfutabile: nei primi dieci posti della classifica degli album più venduti dello scorso anno compare soltanto una donna, al 5° posto (Madame, con l’album omonimo, n.d.r.). Anche volendo ammettere che ciò sia espressione dei gusti del pubblico attuale che privilegia un genere, la trap, nel quale la presenza femminile è più ridotta, ritengo che vi sia alla base una scelta di fondo delle major che investono poco nelle artiste e ancor meno nelle autrici. Il pubblico recepisce quello che gli viene presentato, per cui è evidente che se la proposta musicale viene focalizzata su autori ed interpreti maschili, il pubblico non potrà che essere orientato in quella direzione. Sarebbe quindi necessario che i grandi operatori (gli unici, per intenderci, che hanno la forza di influenzare la composizione delle playlist) concedessero maggior visibilità alle produzioni musicali “al femminile”, soprattutto alle autrici, per una diffusione del pensiero femminile in musica. Dobbiamo recuperare “lo svantaggio storico”, come diceva Virginia Woolf, le librerie erano piene di libri scritti da soli uomini”, e io dico, sarebbe ora di dare spazio al pensiero femminile, non in opposizione a quello maschile ma come “voce altra necessaria”.
Se le cose non cambieranno, anche le produzioni di qualità delle “female artists” rischiano di rimanere confinate nel mare magnum di internet, senza alcuna possibilità di raggiungere il grande pubblico e pareggiare un conto in sospeso da troppo tempo con la storia.