Napoli. Al Teatro Troisi di Fuorigrotta, il 26, 27 e 28 gennaio, è andato in scena per la regia di Antonio Nobili un omaggio ad Alda Merini, con Margherita Caravello nelle vesti della voce narrante e l’intensa Giorgia Trasselli nei panni della poetessa dei Navigli, accompagnate dalla proiezione di interviste della scrittrice e partecipazioni a spettacoli come Il “Maurizio Costanzo Show”.
Su Alda Merini non si è mai detto troppo o abbastanza, né della sua attività poetica così prolifica – di volumi di poesie ne ha scritti 30 – né della sua vita così intimamente legata all’arte e, soprattutto, mai nessuno si è scusato del male che gratuitamente le è stato fatto patire, richiudendola nell’ospedale psichiatrico “Paolo Pini” di Milano per ben 12 anni, nel corso dei quali è stata più volte sottoposta all’elettroshock “perché un pazzo non può amare nessuno”.
Questo spettacolo vuole essere uno sguardo ravvicinato sulla poetessa di quella Milano dei Navigli che lei tanto amava, sebbene fosse tanto diversa dal luogo pieno di locali e negozi che oggi conosciamo e da cui non volle mai allontanarsi, lì conosciuta come “quella che è andata da Costanzo” e non “come quella che ha lavorato una vita per fare un carteggio all’Università di Pavia”. A farle compagnia il suo rossetto, le numerose collane, i cappelli stravaganti e l’immancabile sigaretta.
Testo a tratti umoristico, come lei sapeva essere anche di se stessa e della propria condizione, come quando urlava al medico la sua fame – la povertà non l’ha mai abbandonata, nonostante il grande successo di pubblico – e lo stesso le rispondeva che si trattava di un buon segno!
O come quando la Caravello ricorda che le furono tagliati i fili della Telecom e fu solo per inter-cessione di Pippo Baudo che le fu ripristinata la linea, ma solo in entrata!
O, ancora, quando Giorgia Traselli racconta di avere accolto in casa sua il barbone, soprannominato poi Titano, che prima di entrare le disse: “ Signora stia attenta che sono molto violento”, e lei rispose: “Non si preoccupi sono molto violenta anch’io!”.
Lo spettacolo vuole essere una riflessione su questa “vita trascorsa nell’anonimato dell’oscurità per poi essere acclamata dal grande pubblico, invitata, invidiata, indagata da chi volle farne un caso mediatico” e la capacità di Alda di addomesticare le folle con la poesia, di superare il male procuratole con la sua grande forza di amare, trovando comunque un senso agli orrori vissuti grazie alla sua profonda umanità e generosità nei confronti degli ultimi, che sapeva ascoltare con i dolcissimi occhi verdi.
Giorgia Traselli ha fatto suo il personaggio alternando la lucidità di Alda – consapevole che la sua unica colpa era quella di essere una poetessa e quindi considerata, allora, di costui corrotti e di conseguenza pazza – con la frenesia di scrivere versi e distribuirli soprattutto ai bei giovani, alla tenerezza di quando stringe un cappotto, desiderosa solo di essere amata.
La follia, allora “come scelta, come una faticosa affermazione di sé, della propria essenza rispetto alla maggioranza e della personale urgenza contro la norma sociale imposta” che, semplificando e risolvendo il problema, l’ha definita: “Alda Merini la pazza!”.