Roma. Liberamente ispirato al “Riccardo III” di William Shakespeare e alla figura del pluriomicida Jean-Claude Romand, raccontato nel romanzo “L’avversario” di Emmanuel Carrère, “Riccardo 3. L’avversario” è lo spettacolo di Francesco Niccolini con la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, in scena dal 7 al 9 febbraio per la prima volta a Roma al Teatro Palladium. Sul palco Enzo Vetrano, Stefano Randisi e Giovanni Moschella interpretano molti personaggi e in un ambiente asettico – molto lontano da una sala da palazzo reale quattrocentesca – mettono in scena la crudeltà e i tormenti dell’uomo malvagio per eccellenza. Un adattamento in chiave moderna, capace di far emergere i lati più oscuri di un uomo – forse re, forse pazzo – in continua lotta tra desideri reconditi, impulsi oscuri e i suoi incubi peggiori.
La riscrittura di Niccolini del celebre testo, ultima di quattro opere teatrali scritte da William Shakespeare sulla storia inglese, è cruda, diretta e essenziale. L’ambientazione volutamente scarna e minimale, curata da Mela Dell’Erba, ricorda un ospedale psichiatrico, o meglio un manicomio criminale. Qui un uomo, forse Riccardo III – interpretato da Enzo Vetrano – trascorre gli ultimi giorni della sua vita. Rivive la vicenda del re inglese e dei suoi omicidi seriali, così la vita ospedaliera si mescola alla finzione. In scena un letto, uno specchio, una sedia a rotelle come trono e una teca piena di teschi: Riccardo, rappresentazione del male allo stato puro, è costretto ad affrontare gli orrori di cui si è macchiato. Con lui due uomini in scena, interpretati da Stefano Randisi e Giovanni Moschella, danno voce a tutti gli altri personaggi della celebre opera da Lady Anna a Giorgio di Clarence, da re Edoardo e Enrico al principino. Interpreti dalle mille facce rappresentano i fantasmi, i ricordi e le ossessioni di Riccardo. Sedato e reso passivo da un’iniezione, non gli resta che la morte forse unica via per l’espiazione.
Note di drammaturgia e regia di Francesco Niccolini, Stefano Randisi ed Enzo Vetrano: “Enzo è Riccardo. Stefano è Lady Anna, ma è anche un sicario, Giorgio di Clarence, Buckingham, Edoardo e Richmond. Giovanni è tutti gli altri personaggi: un altro sicario, Hastings, Elisabetta, il principino, Margherita, il sindaco di Londra, Stanley. Pochi attori e molti forse. In questa messa in scena i forse sono più delle certezze: perché in questo spazio algido tutto è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi, le vecchie foto, le incisioni sbiadite e le apparizioni.
Quando lo spettacolo inizia, Enzo si sveglia da un lungo sonno iniziato prima dell’ingresso del pubblico. È seduto su quello che dovrebbe essere un trono. Ma intorno tutto è bianco e verde acido, ricorda molto da vicino la stanza di un ospedale: un letto, una sedia a rotelle, un grande specchio. Forse addirittura siamo all’interno di un ospedale psichiatrico. Peggio: un manicomio criminale. O forse il manicomio è dentro la testa di Enzo.
Due uomini parlano sottovoce. Forse sono dei sicari. Forse. O forse sono due incubi venuti per tormentare Riccardo. O Enzo.
Il dramma ha inizio: la corona passa da una testa a un’altra, la ghigliottina si abbatte feroce, le campane suonano a festa o a morto, mentre un corvo si aggira, come se quel luogo gli appartenesse. Un luogo pieno di spettri e fantasmi.
Mentre rivive la vicenda di Riccardo di Gloucester – il malvagio più malvagio ma al tempo stesso più terribilmente simpatico mai creato dal genio umano – e dei suoi omicidi seriali, di tanto in tanto, la vita ospedaliera si mescola alla finzione. Da fuori si sentono tuoni e fulmini, ci sono inattesi silenzi, una cartella clinica da leggere, aggiornare o firmare. E soprattutto, c’è un’iniezione che incombe, come una spada di Damocle. O piuttosto di Richmond, in questo caso.
Tra un omicidio, una risata, un funerale e una pausa, la commedia va avanti fino alla sua conclusione naturale. O quasi.
Perché al momento del gran finale – giusto un istante prima della morte (“Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo!”) – Enzo risorge dai suoi peccati, e con il suo ultimo monologo visionario si congeda, accoglie la liberazione che gli giunge non dalla spada di Richmond ma dall’iniezione che gli viene somministrata: sedato, ridotto alla passività, rinchiuso in una camicia di forza, che assume le fattezze di un costume di scena da tiranno assassino. Forse morto.
Parafrasando Macbeth e il suo “Tomorrow and Tomorrow and Tomorrow”, a noi resta soltanto un “Forse e Forse e ancora Forse”. Parafrasando Amleto, tutto il mondo non è solo una prigione, ma un manicomio. E la via d’uscita, una sola.
Attori, registi e autori teatrali, Enzo Vetrano e Stefano Randisi lavorano insieme dal 1976. Nel 1995 fondano a Imola l’Associazione Culturale Diablogues, che spazia da produzioni di spettacoli di ricerca teatrale e musicale alla didattica, da collaborazioni e consulenze artistiche alla progettazione e realizzazione di eventi teatrali unici in luoghi di particolare interesse artistico e culturale. Nel 2010 ricevono il premio Hystrio-Anct per il loro lavoro tra ricerca e tradizione, mentre nel settembre 2011 vincono il premio Le Maschere del Teatro Italiano con lo spettacolo I Giganti della Montagna nella categoria Miglior spettacolo di prosa. Nel 2017 lo spettacolo Assassina è finalista come Spettacolo dell’anno ai Premi Ubu 2017 e Hystrio Twister.