Roma. Presso la Galleria d’Arte Andrea Festa Fine Art la prima mostra personale di Caroline Absher ,“Just Passing Through”, dal 20 Marzo al 07 Maggio. La mostra presenta una nuova serie di dipinti realizzati nel suo studio a Brooklyn, dove l’artista vive e lavora. Testo critico di Giorgia Basili: “Iniziamo a salire, attraverso un sentiero ombreggiato in cui si schiudono il giallo dei denti di leone e il rosso porpora delle campanule. L’erba nuova è folta ai piedi dei blocchi di granito bruciati – vestigia di un palazzo divorato dalle fiamme. Min mi chiede di sedermi su un fiore di loto scolpito nel marmo e mi contempla. Questo silenzio è faticoso” (Shan Sa, “La giocatrice di go”, 2001). Verde acido, rosso cremisi, magenta, borgogna, zafferano: questi gli ingredienti della tavolozza di Caroline Eleanor Absher. Pennellate sfaldate si susseguono costruendo l’immagine per poi perdersi in macchie astratte, come succede nel gioco di iridescenze nel particolare dei capelli petrolio di Natalia. È il volto il vero protagonista dei dipinti di Caroline Eleanor Absher. Conquista, in una radicale presa di possesso dello spazio. Non esiste primo piano o sfondo, la composizione ha un taglio fotografico, il close-up. La superficie è una finestra all’interno della quale possiamo sbirciare ma siamo ospiti “solo di passaggio”, transitiamo per qualche secondo, minuto, poi siamo ricacciati nella nostra dimensione. La stessa artista, americana di base a Brooklyn – uno dei cinque quartieri di New York City, all’estremità meridionale di Long Island -, è solo di passaggio nella Città Eterna. E ancora, le protagoniste dei suoi dipinti, tutte donne, sembrano affacciarsi temporaneamente, “sostare” nei confini del visivo, per poi perdersi nuovamente nei meandri di una realtà parallela, lontana anche dal Metaverso. Una realtà di pura fantasia e illusione, di prolifica immaginazione, in cui sono attese le loro gesta, forse leggendarie, forse mediocri o semplicemente sono parte integrante di un flusso vitale che non ci appartiene. Le figure femminili di Absher sono organismi radioattivi: come in una mappatura del calore corporeo, una termografia, l’artista risucchia la realtà, la filtra virandola in colori saturi e fosforescenti. Eroine, amazzoni, sirene, esseri ibridi e fatati. Spesso l’artista assegna loro un atteggiamento protettivo, affinché ispirino calma e serenità. “Amichevoli ma distanti, come se potessero vederti attraverso un velo, ma tu non potessi fare altrettanto” – afferma l’artista. Aurora, Fairy Nap, Asleep in the flowers, Spiriti Guide ci portano in un mondo dove incantesimo e quotidianità si mescolano indissolubilmente. Eppure, queste creature non sono colte nell’azione, bensì nell’attimo prima che la realtà si disveli. Immerse nei pensieri, in tunnel onirici, catturate in una fase REM profonda e inaccessibile. Impenetrabile, perché lo sguardo rapace di chi si trova al di là della tela è pietrificato. L’immagine esprime la propria volontà di controllare, veicolare, manipolare, sospendere ogni aggressione esterna. Così “La ragazza di fuoco” ammonisce, afferra le redini del gioco e ci viene da chiederci come Mitchell “What do pictures want? Cosa domandano e demandano”, mentre riservano a se stesse la fetta più succulenta dell’interazione, avvalendosi della facoltà di autodeterminarsi. In “Rovesciare i propri occhi” di Giuseppe Penone, le lenti riflettenti impediscono all’artista di vedere il mondo esterno, lo rendono cieco e ribaltano la visione, permettendo al fruitore “idealmente” di catapultarsi nelle profondità dello sguardo interiorizzato ed incarnato. Qui in “Fire Girl”, invece, la determinazione della donna diventa potere incendiario. È la volontà di vendetta ad accecare? Sta lanciando un guanto di sfida o brama uno scambio di energie? Gli occhi, come ogni centimetro di pelle, diventano fiamma viva e ardente, contaminando anche la tavolozza degli altri dipinti. “The snake and the raven” mostra di profilo un volto, la cui silhouette è raddoppiata come se la personalità della figura fosse scissa, in bilico tra il serpente e il corvo (ai vertici opposti della diagonale), tra due polarità che non si identificato necessariamente con il Bene e il Male. Aurora risveglia derive shakespeariane. Il diadema di volute che adorna e cinge in trasparenza la fronte trasporta alla corte di Titania, tra altalene ricoperte d’edera, ghirlande di primule e margherite. In un campo bagnato di luce, tra il giallo dei denti di leone e il rosso porpora delle campanule, come ne “La giocatrice di go” della scrittrice cinese, naturalizzata francese, Shan Sa. Molti i riferimenti dei dipinti di Absher alla storia dell’arte. In un’opera non in mostra, l’artista ricalca il dipinto di Paul Gauguin, “Lo spirito dei morti veglia” (Manao tupapau, 1892) che ritrae un’adolescente tahitiana sdraiata su un giaciglio – una sorta di Olympia manettiana. A pancia in sotto, con l’orecchio poggiato sul lenzuolo, si volta verso lo spettatore. Nella sua versione, tuttavia, l’artista americana libera il corpo della giovane musa dalla pesante condizione di confinamento, di relegazione ad oggetto del desiderio, annichilito dallo sguardo patriarcale. In “Asleep in the flowers” (2022) la posizione della dormiente ricorda Flaming June di Frederic Leighton (1895) o le giovani fanciulle greche, riverse e sognanti, tipiche dell’opera di Sir Alma Tadema. Non mancano lontane suggestioni preraffaellite, ma anche qui il meccanismo è ribaltato: la figura femminile non appare come seducente e ammaliatrice, allestita – come in un banchetto di primizie – per rispondere alle richieste di piacere maschile, né nel ruolo di spietata predatrice. Al contrario, le figure che caratterizzato questa serie di dipinti sono alternativamente mosse o immobilizzate dal desiderio, meditative o focalizzate verso obiettivi segreti, al di là della nostra comprensione. Sirene che non hanno alcuna intenzione di irretire Ulisse, silfidi che sussurrano al vento i loro pensieri fugaci.