Milano. Martedì 29 ottobre debutta, in prima nazionale, al Piccolo Teatro Grassi, “La donna Leopardo”. Tratto dall’ultimo romanzo di Alberto Moravia, lo spettacolo rappresenta la prima regia teatrale di Michela Cescon (che insieme a Lorenzo Pavolini ha curato anche l’adattamento drammaturgico). Ambientata tra Roma e il Gabon, è una lucida analisi delle “regole dell’attrazione” di cui sono protagoniste due coppie sposate (in scena Valentina Banci, Olivia Magnani, Daniele Natali, Paolo Sassanelli). Lo spettacolo, prodotto dal Teatro di Dioniso di Torino – di cui Michela Cescon cura la direzione artistica dal 2017 – e dal Teatro Stabile del Veneto, replica a Milano fino a domenica 3 novembre, per poi iniziare la tournée italiana.
Quattro personaggi – un giornalista, il suo editore e le rispettive mogli – si trovano ad affrontare un viaggio in Africa, nel Gabon, dove il giornalista deve fare un reportage e l’editore coltiva interessi economici. Dalle atmosfere borghesi, in una Roma conosciuta e notturna, dove le relazioni sono più nascoste e trattenute, all’Africa, che, come dice Moravia, è “il più nobile monumento che la natura abbia mai eretto a se stessa”, e che, chiaramente, simboleggia un altrove, tutto diventa vero, senza struttura, esplode. L’uomo tende a possedere, la donna a sottrarsi, il possesso definitivo è impossibile e l’amore, come la vita, è uno stato d’allarme continuo.
“È da alcuni anni – spiega Michela Cescon – che penso di portare in teatro un testo di Moravia, non uno dei suoi testi teatrali bensì un romanzo. Ho sempre pensato fossero perfetti per il palcoscenico e che ci fosse al loro interno una matrice teatrale; tra i suoi scritti si intuisce un’attenzione quasi registica ad uno spazio scenico, alla luce, ai luoghi come dei dipinti, ai personaggi dai dialoghi perfetti, con una scrittura adatta ad essere portata ad alta voce. Mi hanno sempre incuriosito i suoi racconti, i suoi romanzi brevi, ma quando lessi “La donna leopardo” capì che da lì volevo partire. Dalla fine quindi, dalle ultime pagine con cui ci ha salutati”.
I quattro attori/personaggi si muoveranno in uno spazio grande e libero, senza confini e strutture teatrali che lo delimitano. Non ci sono mura, non ci sono soffitti. Non ci sono oggetti, non si sfiora mai il teatro borghese: gli unici strumenti di rappresentazione sono il corpo e la voce degli attori, impegnati in una performance fisica, che avranno a che fare con strutture modulari, fondali illuminati, luci, ombre, fotografie, video e una forte drammaturgia sonora.
Lorenzo Pavolini che con lei ne cura l’adattamento: “Due coppie ingaggiano una danza elegante e brutale, si sfidano allo scambio e alla disgregazione, alla guerriglia mondana e al compromesso di poteri e ruoli – tra moglie, marito e amante, direttore imprenditore e giornalista, colonizzatori e colonizzati – spingendosi nei territori d’ombra inesplorata, fino a restare nudi di fronte a se stessi”.
Il progetto teatrale prende vita in coincidenza con due importanti ricorrenze: il trentennale della morte di Moravia (avvenuta a Roma il 26 settembre 1990) e i novant’anni della pubblicazione – nel 1929 – del romanzo che ne decreta il successo, “Gli Indifferenti”.