Napoli. Esce il 25 marzo, edito da Avagliano, il romanzo giallo “La fiamma spezzata”, opera prima di Giovanni Taranto, giornalista, esperto di cronaca nera e giudiziaria, autore di inchieste scomode sulla criminalità organizzata del napoletano, da tempo impegnato nel sociale ed attualmente Presidente dell’Osservatorio sulla legalità del Comune di Torre Annunziata.
Tutto parte da un’anziana madre che, caparbiamente, cerca la verità sulla morte del figlio, Ciro Casillo, carabiniere, avvenuta sei anni prima e archiviata come suicidio.
L’insistenza della donna è tale da mettere in allarme i servizi segreti militari di Roma e, per non creare imbarazzi, i vertici scelgono di affidare le indagini, da svolgersi manco a dirlo nel massimo riserbo, al Capitano dei Carabinieri Giulio Mariani, romano de Roma, ma di stanza in un piccolo paese del vesuviano, San Gioacchino.
La storia riserva al lettore diversi colpi di scena, ma l’invenzione letteraria più riuscita è quella per cui circa a pagina 100 il giallo sembra concluso ed invece è solo da lì in poi che parte l’indagine vera, arrivando ad una conclusione per nulla scontata.
Potremmo definire “La fiamma spezzata” un giallo “classico”, in cui l’Autore sceglie di dare risalto all’acume investigativo del suo protagonista, il Capitano Mariani, mentre la sua vita personale, i suoi affetti, solidi e sinceri, restano sullo sfondo, senza diventare egemoni dell’intreccio letterario; pur nella grande diversità delle ambientazioni, questa scelta porta la memoria di chi legge più alla figura di Maigret che a quella di recenti e famosi investigatori, beniamini della giallistica contemporanea.
Ed è l’ambientazione l’altro grande pregio di questo romanzo: Taranto descrive una provincia sospesa tra il reale e l’immaginario, in cui alcuni luoghi sono chiamati con i loro veri toponimi – Napoli, il Vesuvio – mentre tutti i nomi dei paesi dell’hinterland napoletano sono di fantasia, riconoscibili a chiunque in quei luoghi sia nato o abbia vissuto, ma ugualmente fantastici ed immaginifici; anche all’individuazione degli anni in cui si svolge l’azione il lettore arriva quasi senza accorgersene, attraverso i particolari, gli oggetti, i riferimenti alla cronaca, in assenza di date certe ed esplicite.
In questa semi sospensione spazio – temporale fanno da bussola le tradizioni locali, i profumi, gli aromi, perfino le ricette che, con precisione certosina, l’Autore ricostruisce, rispettando il tempo, tra Natale e la Befana, che fa da cornice allo svolgersi della trama.
Degno di nota è anche l’uso della lingua italiana e dei suoi tanti dialetti: nel piccolo microcosmo della caserma di San Gioacchino ognuno parla la sua lingua “madre”, si intrecciano così il romano del protagonista, il veneto ed il siciliano dei suoi uomini, ed ovviamente il napoletano degli altri personaggi, il tutto sapientemente mescolato con un italiano limpido e mai banale, talvolta colto ma mai culturoso, che fa da pietra angolare ad uno stile di scrittura godibile e fluido.
Insomma un libro in cui immergersi, da leggere tutto d’un fiato e che vi lascerà la voglia di vedere ancora all’opera il Capitano Mariani.