Milano. Stefania Rocca, regista e attrice dalla carriera poliedrica e vastissima che ha attraversato tutti i generi e ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, arriva per la prima volta al Teatro Franco Parenti con “La Madre di Eva”. Lo spettacolo, che si terrà in Sala Grande dal 30 aprile al 5 maggio, è tratto dall’omonimo romanzo di Silvia Ferreri, finalista al premio Strega nel 2018. In scena le tematiche transgender e la complessità del rapporto genitori-figli.
Eva si è sempre sentita Alessandro, per questo la sua vita è sempre stata complicata, crudele. Ha appena compiuto diciotto anni e si prepara al momento che aspetta da tutta la vita: l’intervento che la renderà uomo. Al di là delle mura della sala operatoria sua madre racconta il viaggio verso la trasformazione della figlia, i sentimenti, le paure; la loro vita fino a quel momento. Cinema, musica e teatro si fondono in un unico flusso di coscienza, un dialogo senza risposte, sospeso tra immaginazione e realtà. Una storia di tormento e dolore, della rabbia e della fatica di chi non si sente nella propria pelle. Nel difficile ruolo di Eva/Alessandro, una coppia di adolescenti transgender, perfetta incarnazione nella vita di quello che interpretano in scena, Bryan Ceotto e Simon Sisti Ajmone, rispettivamente 23 e 16 anni.
Uno spettacolo dalla forte carica emotiva accompagnata e sottolineata dalle penetranti composizioni musicali di Luca Maria Baldini.
Un percorso tra due generazioni per riconoscere la diversità come un valore. Che cosa vuol dire essere madre? Nessuno nasce genitore e nessuna donna nasce madre. L’unica, vera, possibile guida è l’amore, uno scambio continuo tra genitori e figli, in un ascolto reale e sincero tra generazioni.
“La madre di Eva” è la storia, toccante e contemporanea, di una madre che parla a sua figlia – lei l’ha sempre considerata una femmina – in una clinica di Belgrado, mentre al di là del muro stanno preparando la sala operatoria e i dottori tracciano linee verdi sul corpo nudo di Alessandro, per permettergli di realizzare, finalmente, il suo desiderio: “prima dei miei diciotto anni voglio sottopormi all’intervento che mi renderà quello che sono davvero: un uomo”.
In un dialogo surreale senza risposte, sospeso tra l’immaginato e il reale, la madre racconta la loro vita fino a quel momento. Un viaggio costellato di amore e odio, sensi di colpa, paure, desideri e speranze. Madre e figli* sono le facce di una società che evolve e non dà tempo, ci spiazza e ci rende soli.
Con questo spettacolo, voglio raccontare il forte contrasto generazionale e le tematiche transgender dal punto di vista di chi ne è fisicamente coinvolto ed anche di chi, in quanto genitore, sente il dovere di proteggere “la sua creatura”, con il timore delle discriminazioni che la società spesso riserva a coloro che perseguono un percorso di transizione.
Per Alessandro la transizione è un percorso che modifica il corpo, non l’identità. Lui è nato uomo. Non c’è un prima e un dopo.
Per la madre, condizionata da un pregiudizio ancestrale, la transizione è un calvario ingiustificato oltre a essere un insulto al “frutto del suo seno”. Non è una donna bigotta ma ha paura. Paura che sua figlia soffra troppo, paura che venga giudicata, paura che la vita per lei possa essere più difficile. L’amore e l’ansia di essere una madre perfetta, la portano a guardare da un’unica prospettiva, la sua, fino a quando lei stessa non sarà in grado di comprendere e abbattere quel muro di solitudine che le ha divise, fino al momento in cui entrambe rinasceranno.
Vorrei si aprisse per il pubblico una finestra in più sull’identità di genere, che porti lo spettatore ad immedesimarsi emotivamente in entrambi i personaggi. Penso che tanti genitori e tant* figl* che stanno affrontando un percorso analogo, grazie alla visione di questo spettacolo potranno sentirsi meno soli.