La prima regia di Kriszta Székely con “Zio Vanja”

Torino. Al Teatro Carignano debutta in prima nazionale la nuova produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale: “Zio Vanja” di Anton Čechov, diretto dalla giovane regista ungherese Kriszta Székely. L’adattamento è della stessa Székely e di Ármin Szabó-Székely e la traduzione di Tamara Török curata da Emanuele Aldrovandi. Lo spettacolo è interpretato da Paolo Pierobon, Ivano Marescotti, Ariella Reggio, Ivan Alovisio, Federica Fabiani, Lucrezia Guidone, Franco Ravera, Beatrice Vecchione. Le scene sono di Renátó Cseh, i costumi di Dóra Pattantyus, le luci di Pasquale Mari e le musiche di Flóra Matisz.

“Zio Vanja” sarà replicato al Teatro Carignano fino a domenica 26 gennaio e, dopo Torino, andrà in scena il 29 e il 30 gennaio 2020 al Teatro Katona József Színház di Budapest.

Dal Teatro Katona di Budapest, la giovane Kriszta Székely, astro nascente del teatro europeo, firma per lo Stabile di Torino la sua prima regia in Italia. Il capolavoro di Čechov è un monito all’uomo contemporaneo: grande cast con Paolo Pierobon, Ivano Marescotti, Ariella Reggio.

“Zio Vanja” è la tragedia delle occasioni mancate, delle aspirazioni deluse, dell’incapacità di essere felici. Racchiude l’essenza del teatro di Anton Čechov: il senso di fallimento. Tragicomici, frustrati, depressi, i suoi personaggi parlano molto, ma non fanno niente per sfuggire alla loro condizione di perenne insoddisfazione: illudono se stessi e gli altri con mutue bugie, mentre i loro nervi pian piano si consumano nel soffocante calore estivo. A dirigere “Zio Vanja” è la regista ungherese Kriszta Székely, tra i migliori talenti della scena europea, che firma il suo primo spettacolo in Italia, prodotto dallo Stabile di Torino, una nuova e importante edizione del grande dramma cechoviano.
Ricorda Székely che l’Ungheria, e soprattutto il Teatro Katona dal quale proviene, hanno una lunga tradizione di messe in scena delle opere di Čechov molto realistiche, psicologicamente sofisticate: “La desolata campagna russa, dove non succede niente, dove le persone si sfiancano, i sentimenti muoiono e dove pian piano tutto si scompone, per decenni ha funzionato come un parallelo della sensazione della vita depressa del blocco socialista dell’Europa dell’Est”.
Da allora il mondo è cambiato e con esso i registri teatrali. La Székely ha abbandonato la ricerca del dramma psicologico e, reduce da un “Platonov” ineditamente chiassoso, ironico, pieno di un umorismo nero, allestisce con “Zio Vanja” una commedia che fa stringere il cuore, con i suoi personaggi animati da ideali, passioni e sentimenti, che non sono in grado di realizzare.
In questo lasciar passare la vita senza esserne partecipi, la regista legge un monito per l’uomo contemporaneo: “Incapace di agire, mentre è assolutamente cosciente che il mondo che lo circonda sta cadendo a pezzi”.

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