“La vita nuova” di Romeo Castellucci in prima nazionale a Bologna

Bologna. L’ottava edizione di ART CITY Bologna, il programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera, dal 24 al 26 gennaio 2020, conferma il format degli ultimi due anni, con un Main program articolato in uno Special project e una selezione di progetti curatoriali – tra mostre, installazioni e performance – che spaziano tra le più diverse espressioni del contemporaneo.

Special project 2020 è la performance in prima nazionale “La vita nuova” di Romeo Castellucci, regista teatrale, autore, artista visivo, insignito del Leone d’Oro alla carriera dalla Biennale di Venezia nel 2013, della laurea ad honorem in Discipline della Musica e del Teatro dall’Università di Bologna nel 2015, premiato con l’Oscar della lirica 2018-19 (miglior spettacolo, miglior regista e miglior scenografo) per la “Salome” prodotta dal Festival di Salisburgo.
L’opera sarà visibile in prima nazionale il 24 e 25 gennaio 2020 alle ore 19.00 e h 21.00, per un totale di quattro repliche, negli spazi di DumBO, l’area nata da un progetto di rigenerazione urbana condivisa dell’ex scalo ferroviario Ravone, in via Casarini 19 a Bologna.

Nel segno della capacità di fare rete tra le realtà culturali bolognesi, nazionali e internazionali, che da sempre caratterizza l’impostazione degli eventi di ART CITY Bologna, il progetto si realizza in collaborazione con MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, Emilia Romagna Teatro Fondazione; produzione esecutiva di Societas in coproduzione con Bozar, Center For Fine Arts (Brussel), Kanal – Centre Pompidou (Brussels), La Villette (Paris) e in collaborazione con V-A-C Foundation. L’attività di Societas è sostenuta dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Regione Emilia-Romagna e Comune di Cesena.

Questo nuovo lavoro di Romeo Castellucci – che ha debuttato nel 2018 al Kanal – Centre Pompidou (Brussels) ed è stato ospite di diversi Festival europei tra cui Wiener Festwochen di Vienna, Hellenic Festival di Atene, Passage Festival organizzato da Helsingør Teater e il Festival d’Automne à Paris – trae ispirazione da Lo spirito dell’utopia di Ernst Bloch.
Il saggio, scritto in piena guerra mondiale tra il 1915 e il 1917 e rivisto in parte nel 1923, è un classico del pensiero filosofico contemporaneo e si muove nella dimensione utopica del pensiero, delineando una “ontologia del non ancora”.

Riferendosi all’arte e alla tecnica, Bloch scrive: “Benché la perdita del gusto e il progettato avvio di una funzione primitiva, tutta materiale, non conducano più nella nostra terra antica e ben nota, la tecnica consapevolmente funzionale porta tuttavia, in determinate condizioni, alla significativa liberazione dell’arte sia dagli eccessi di stile e dalla stilistica del passato, sia dalla nuda forma funzionale. (…) Bisogna che d’ora innanzi l’arte si tenga lontana dall’uso e non ceda al basso richiamo del gusto, della stilizzazione edonistica della vita inferiore: deve dominare la grande tecnica, il “lusso” per tutti, il lusso democratico e ingegnoso che allevia la fatica e dà refrigerio, una ricostruzione della stella Terra che miri a eliminare la povertà, a trasferire la fatica sulle macchine, a rendere automatico e centralizzato l’inessenziale e perciò a rendere possibile l’ozio; e deve dominare la grande espressione che di nuovo diriga l’ornamento in profondità e conceda alla pena interiore, che risuona nel silenzio della preoccupazione esterna, i chiari segni della comprensione, i puri ornamenti della soluzione”.

Ne “La vita nuova” si respira il senso di un inizio, in un grande parcheggio di auto, dove si sono dati dove si è dato convegno un gruppo di uomini. Sono fratelli e intendono inaugurare un modo nuovo e migliore di stare insieme.
Migliore, rispetto a che? Al mondo da cui si sono separati, all’attività alienata, al lavoro stipendiato, alla politica e all’arte. Non credono più a queste forme della vita sociale.
Nel garage c’è la pace della polvere, anzi c’è l’acuta malinconia dei teli copri-polvere che rivestono le numerose auto lasciate in deposito. Gli stridii degli pneumatici e gli eco delle lamiere sembrano gettare squarci di luce sulla potenzialità dei motori tenuti a riposo. Come belve in gabbia, queste auto sono le cellule del nuovo seme che i fratelli intendono seppellire. Nulla di fantasmagorico essi hanno nelle mani: non colori, non profumi, non meraviglie dei sensi. Nulla, o meglio, essi hanno questo desolato parcheggio di macchine inerti.
Da qui si comincia, da qui si parte. Uno di loro sente più degli altri la responsabilità di annunciare. Non basta parlare, occorre parlare del futuro. Che deve succedere? Come dobbiamo comportarci perché questo succeda? Lui e i suoi fratelli sono i profeti di una nuova vita, nata semplicemente dalla loro attuale condizione umana, che trattiene, sì, qualche modo tipico delle religioni ancestrali, ma che ha espressamente bisogno di inventare altre forme e ornamenti, a partire dalla povertà della realtà.

Qui, in questo grigio parcheggio europeo, americano, cinese, russo, australiano, africano, latinoamericano, avvengono trasmutazioni degli oggetti e trasvalutazioni di tutti i valori dell’arte e dell’umanità.

Qui e ora, nell’ovunque.

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