Napoli. Al Ridotto del Teatro Mercadante dal 28 novembre all’8 dicembre è in scena “Laguna Café” di Giuseppe Affinito, regia di Benedetto Sicca, una produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival, in collaborazione con Casa del Contemporaneo.
Proprio qualche giorno fa nel corso della conferenza stampa dedicata alla presentazione di “Quartieri di Vita 2024”, tenutasi presso la sede della Regione Campania in Via Santa Lucia, Ruggero Cappuccio affermava che ci si occupa molto del corpo, pochissimo dello spirito e dell’anima.
E che la parola è lo strumento, secondo il parere non solo dei filosofi ma anche dei neurologi, di guarigione più potente di cui noi esseri umani siamo in possesso, perché solo confessandosi il proprio dolore è possibile superalo e costruire poi qualcosa.
Ebbene, in “Laguna Café” Giosuè (Giuseppe Affinito), il più giovane tra i due protagonisti, ha il coraggio di manifestare il proprio dolore, l’abbandono da parte di Andrea (Gianluca Merolli), che continua però ad aspettare per 10 anni.
Cerca continuamente un contatto con l’amato, lasciandogli ripetuti, ossessivi messaggi in segreteria, che non avranno mai risposta, e si comporta come se il rapporto non fosse finito.
Quando poi muore il padre di Andrea, questi ritorna al paese natio per il funerale ed è chiamato ad affrontare il dolore non solo e non tanto della perdita, ma quello precedente del rifiuto del genitore che lo aveva in passato cacciato di casa. Giosuè allora gli dà appuntamento a Laguna Café.
Questo non è semplicemente il locale nel quale si sono conosciuti e innamorati, ma quel luogo fantastico dell’immaginario amoroso che l’effervescente ed entusiasta Giosuè è convinto possa riuscire a far rinascere quel sentimento che per l’altro è invece finito per sempre.
Giosuè inizia allora a recuperare dalla memoria le sensazioni e le emozioni del loro tempo assieme e non è un caso che abbia scelto uno spazio come quello della laguna che per definizione è apparentemente marginale, ma proprio per questo in grado di dare vita a una dimensione temporale e spaziale unica, fuori dall’ordinario della quotidianità, capace di un fortissimo potenziale immaginativo, complici le luci e il fumo della nebbia a rendere l’atmosfera surreale (luci di Cesare Accetta).
A terra un tappeto di lustrini, strass colorati e sbrilluccicosi che Giosuè nell’agitarsi, nel ballare, semina tutt’intorno (è evidente la consulenza coreografica di Luna Cenere).
Si staccano dal suo paltò pieno di tasche nascoste nelle quali serba ricordi, fotografie, quasi come se ogni volta, chiamato a contrastare l’apatia e il cinismo di Andrea, perdesse una parte di sé, quella luminosa, allegra e spensierata.
E alla risposta “l’amore finisce e basta, non c’é un motivo”, Giosuè non si dà per vinto, cade, incassa il colpo, si rialza e va avanti.
Riesce così a convincerlo a provarci un’ultima volta.
Il turning plot è segnato da un cambio d’abito di Andrea che abbandona i pantaloni grigi e la canotta bianca e indossa l’abito del cavaliere (i costumi sono di Dario Biancullo), anche questo impreziosito di lustrini, e poi intona una bella interpretazione a cappella di “Vieni via con me” di Paolo Conte (drammaturgia musicale e disegno del suono sono di Chiara Mallozzi).
Il sipario nero si apre a formare tante piccole quinte illuminate, dove dietro ognuna di esse i due, tornati coppia, riescono nuovamente a vedere il loro Eden e a rivivere l’amore (le scene sono di Luigi Ferrigno e Sara Palmieri).
In questo viaggio alla scoperta di loro stessi, Andrea e Giosuè trascinano il pubblico con il quale i due hanno interagito e che hanno coinvolto sin dalle prime battute, complice anche lo spazio ristretto della sala.
La storia però si interrompe bruscamente, il lieto fine non c’è e non tanto perché Andrea va via, e questa volta non si girerà indietro, ma perché Giosuè non è più capace di sognare.
Si guarda intorno e ora vede anche lui lo squallore del posto che della laguna ha solo l’insegna, ma, nonostante tutto, implora Andrea, perché non si sente in grado di affrontare la vita da solo.
È un testo che non dà risposte ma sollecita interrogativi, in un atteggiamento di tenerezza verso se stessi e gli altri: Perché l’amore finisce? Cos’é l’amore? Il bisogno di amore o di essere amati è amore? O solo ciò che è vita senza esser bisogno può essere chiamato amore?
Crediti foto: Ivan Nocera e Paola Calvano.