Milano. Marco Eugenio Di Giandomenico, scrittore, curatore e critico d’arte, economista della cultura, docente all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, è tra le personalità più interessanti e affascinanti nel panorama dell’arte contemporanea. Teorico della “sostenibilità dell’arte”, è stato insignito di prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali per le sue attività accademiche e professionali, svolgendo da alcuni decenni un’intensa attività di promozione dei nuovi linguaggi creativi nell’era dello sviluppo incessante delle nuove tecnologie con uno sguardo attento soprattutto alle nuove generazioni.
Con l’avvento di Internet è cambiata molto anche la percezione dell’arte e del ruolo di artista. Che significa essere oggi artista nell’era di Internet?
L’arte mantiene sempre i suoi canoni teleologici dalla comparsa dell’essere umano sul pianeta. Cambiano gli strumenti espressivi della creatività, con conseguente evoluzione degli approcci ermeneutici, ma l’artista rimane sempre un medium privilegiato di Bellezza, una Bellezza che edifica l’osservatore, in quanto rivelatrice del motore dell’universo.
Non dimentichiamoci che la parola “est-etica” ha in se stessa la parola “etica”, che, per dirlo in termini aristotelici, dirige le azioni umane così che aderiscano alla loro imprescindibile natura trascendentale.
Da più di vent’anni le nuove tecnologie sovvertono le tradizionali modalità espressive dell’arte, mettendone in discussione le tassonomie plurimillenarie. Invece dello scalpello e del pennello, l’artista oggi utilizza il mouse, invece della tela, i colori e il marmo i moderni software creativi, in continua evoluzione, sempre più capaci di farsi interpreti del messaggio estetico.
Come impattano i social network sull’arte contemporanea?
Viviamo nella società dell’ipercomunicazione, in cui occorre recepire il consenso, il “like/don’t like”, ad ogni costo, quasi a prescindere dall’oggetto e dai contenuti, che raramente vengono approfonditi.
Umberto Eco durante un’intervista per il quotidiano spagnolo El Mundo nel 2015 afferma che i social network danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Tale affermazione, evidentemente provocatoria, ripetuta successivamente dal noto scrittore in altre occasioni, conserva una sua grande verità. Nell’arte il problema è sicuramente cogente.
Il vero artista è colui che ha più follower ovvero che recepisce un maggior numero di like sui post relativi alle sue opere d’arte? Una maggiore presenza sul web testimonia un maggior valore dell’artista nelle sue produzioni? Il saper comunicare con le nuove tecnologie è “sintomatico” – per usare un termine caro al filosofo Nelson Goodman – della bella arte?
La risposta è sicuramente negativa. La vera tragedia è che se oggi nascesse un Leonardo da Vinci e non comunicasse digitalmente sarebbe ignorato dal mondo intero e, anzi, non riuscirebbe ad emergere in nessun modo, anche perché gli operatori dell’arte contemporanea (critici, galleristi, etc.) dimenticano sempre più il loro fondamentale ruolo di scouting di nuovi talenti.
Viviamo un momento epocale di transizione dove lo strumento diventa oggetto e dove la Verità viene appannata da tante debolezze umane.
Internet è una rivoluzione senza precedenti nella storia dell’umanità con enormi ricadute positive in tutti gli ambiti delle attività umane. Dobbiamo ancora imparare a gestire le nuove tecnologie, a non farci coinvolgere dalle voci delle sirene che cercano di spingere il nostro Ego, facendoci dimenticare quelli che nel linguaggio popolare sono chiamati i “veri valori”.
In tutto ciò c’è tanto da discutere su cosa significa la parola “economia” nell’era contemporanea.
Conosco alcuni collezionisti che si avventurano ad acquistare opere di artisti “mediatici”, i cui prezzi sono dettati solo da una grande capacità di comunicazione digitale oltre che di possibilità di investimento finanziario.
L’arte è come una grande mamma, con tanti tentacoli che accolgono, ma non ama essere presa in giro e nel tempo mantiene la sua assoluta integrità, tenendo presso di sé solo i veri medium di Bellezza, relegando nel dimenticatoio chi ha cavalcato l’onda della mediaticità fine a se stessa.
Lei si occupa anche tanto di cinema, qual è il film che consiglierebbe di vedere a un giovane artista?
Il film è forse il più “difficile” dei prodotti creativi. È per sua natura la sintesi di vari linguaggi creativi, dalla scrittura alla fotografia, dalla musica alla recitazione, ed è esso stesso una creazione che si avvale di altre creazioni che scompaiono e si osmotizzano nel prodotto finale.
Un film che occorre assolutamente vedere è “Eva contro Eva” (All About Eve) del 1950, diretto da Joseph L. Mankiewicz, con l’attribuzione di ben sette premi Oscar nel 1951, ispirato al racconto “The Wisdom of Eve” di Mary Orr (1946). Il cast è eccezionale, da una magnifica Bette Davis a Anne Baxter, George Sanders e una giovanissima Marilyn Monroe. Viene raccontata la cosiddetta società dello spettacolo, che, a distanza di più di settant’anni, conserva i medesimi meccanismi relazionali e produttivi.
Potrei consigliare tanti altri film, ma “Eva contro Eva” nel cinema è come l’Iliade, l’Odissea o i poemi tragici in letteratura, contribuisce a creare il giusto sostrato culturale a chi ama l’arte e vive per essa.
Articolo estremamente interessante perché, pur ribadendo i canoni dell’Opera d’Arte classica,proietta gli stessi in una dimensione ultracontemporanea che affascina e seduce.