Salerno. La capacità di attraversare la storia con uno sguardo analitico ma al contempo caratterizzato da una profonda umanità, affidando le sue emozioni ad una fedele ed insostituibile compagna di viaggio: la macchina fotografica.
La vita di Letizia Battaglia non può scindersi dalle sue esperienze professionali, una sensazione tangibile che si avverte visitando la mostra diffusa a lei dedicata a Salerno. Dallo scorso 9 marzo e fino al prossimo 19 maggio, in alcuni dei luoghi simbolo della città quali Palazzo Fruscione, la Corte di Palazzo Pinto, la Chiesa di San Sebastiano del Monte dei Morti, la Cappella di San Ludovico dell’Archivio di Stato, la Cappella di Sant’Anna e l’Ipogeo di San Pietro a Corte, sarà possibile ammirare ed immergersi nelle opere della fotografa palermitana che con il suo stile ha rivoluzionato la percezione stessa di un’arte così affascinante.
L’esposizione “Letizia Battaglia. Una vita come un cazzotto, come una carezza” è curata da Paolo Falcone ed è stata organizzata dall’associazione Tempi Moderni in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia e la Fondazione Falcone per le Arti.
Una celebrazione corale che si prefigge anche l’obiettivo di avviare un dialogo con la città coinvolgendo siti storici di innegabile bellezza. Il nucleo più consistente delle opere è fruibile proprio a Palazzo Fruscione, edificio risalente al XIII secolo, dove oltre agli scatti di Letizia sono presenti documenti e video che consentono di conoscere meglio la sua personalità.
Battaglia ha un ruolo cardine nella storia della fotografia internazionale, grazie soprattutto alla sua attività con il quotidiano palermitano “L’Ora” negli anni Settanta e Ottanta, anni roventi resi tali dalla mafia locale, come evidenziato da Letitia Guillemin. Battaglia entra in contatto con il mondo della fotografia per pura casualità ma questo incontro sarà fondamentale perché sancirà la sua emancipazione come donna e come madre.
Il tormento di una terra magnifica come quella siciliana viene consegnato alla storia grazie agli occhi vivaci di Letizia, al suo intuito e alla sua maestria. Politica, cronaca, morte ma anche gente comune, baci rubati nei campi, feste altolocate, famiglie devastate dalla povertà. E bambini, tanti bambini, che con le loro pupille catturano il visitatore quasi con sfrontatezza, chiedendo almeno un istante di attenzione.
Non solo esperienza siciliane ma anche un’importante parentesi milanese che nei primi anni Settanta consente a Letizia di entrare in contatto con intellettuali come Pier Paolo Pasolini e Franca Rame proseguendo la sua attività come fotografa documentarista che nel 1980 ci consegna uno scatto che ha fatto epoca: l’assassinio di Piersanti Mattarella fa accorrere Letizia sul posto nell’attimo in cui il fratello Sergio sta per estrarre il corpo senza vita dall’auto. Un’immagine potentissima che qualcuno ha idealmente paragonato alla Pietà michelangiolesca. Gli omicidi di Falcone e Borsellino però segnano un punto di svolta perché Letizia deciderà di non occuparsi più di crimini mafiosi.
Alla fine degli anni Novanta, a San Francisco, riceve il Mother Jones Photography Lifetime Achievement Award mentre nel 2009 è nuovamente negli Stati Uniti per ricevere il Cornell Capa Infinity Award e nel 2017 il New York Times la annovera tra le 11 donne più rappresentative dell’anno.
La sua incredibile esistenza accende la curiosità di Roberto Andò che tra il 2020 e il 2021 realizza un film intitolato “Solo per passione – Letizia Battaglia una fotografa” che ha Isabella Ragonese come protagonista.
Poco prima di andarsene, coadiuvata dai nipoti Matteo e Marta Sollima, Letizia fonda l’Archivio che porta il suo nome con l’obiettivo di promuovere e tutelare il suo lavoro. Una donna esempio che non ha mai vissuto come tale e che per tutta la vita si è scrollata di dosso le etichette imposte dalla società, conquistando il suo posto nel mondo con umiltà e testardaggine. Ecco perché i suoi scatti parlano anche di lei.
L’allestimento di Palazzo Fruscione, sito in cui la ricchezza delle opere di Letizia è più evidente, colpisce non solo per la bellezza degli scatti ma per l’essenzialità con cui vengono presentati: i pannelli espositivi, infatti, appaiono quasi sospesi attraverso un sapiente gioco di equilibri.
L’arte di Letizia era intuitiva, oseremmo dire “di pancia”, ma l’emotività dei suoi gesti non disprezzava la tecnica: il grandangolo e la Pentax K 1000 erano i suoi diktat, in dialogo diretto con la scena da immortalare senza mai dimenticare il suo obiettivo, ovvero la valenza di una foto come strumento di cronaca ma soprattutto di denuncia.
“Consiglio di fotografare tutto da molto vicino, a distanza di un cazzotto o di una carezza” amava ripetere Letizia Battaglia e queste parole incarnano al meglio la sua filosofia. Quei pochi centimetri che consentono di compiere un gesto violento o di amore sono gli stessi che bastavano a lei per fissare nell’eternità il soffio di una vita.