Milano. Chiude il 9 luglio la stagione più tormentata del Teatro No’hma.
“Un virus sterminatore voleva che noi chiudessimo e invece non abbiamo mollato di un centimetro. Anzi, abbiamo moltiplicato gli sforzi, siamo andati in scena ancora di più, abbiamo incontrato ancora più persone e abbiamo progettato il nostro futuro.
Sarà un futuro pieno di innovazioni, a palcoscenici multipli.
Abbiamo imparato che il teatro è il mondo, che il teatro è uno spazio, ma è uno spazio non necessariamente chiuso da pareti.
Quindi, la nostra casa di via Orcagna continuerà a essere un luogo libero, accogliente e aperto a tutte le persone del mondo e andrà, in più, a incontrare le persone della città di Milano e di tutti i continenti in luoghi fisici e virtuali anche al di fuori della casa d’acqua in cui ci siamo stabiliti più di venti anni fa. La cultura come l’acqua scorre, sgorga, allaga, disseta. E noi continueremo a togliere la sete a tutti offrendo il refrigerio del pensiero che è linfa.
Grazie a tutti quelli che ci hanno seguito, sostenuto, stimolato con la loro attenzione e con la loro presenza” sostiene Livia Pomodoro.
Elena Bucci e Marco Sgrosso, amici di lungo periodo del Teatro No’hma, chiuderanno la stagione “Il mondo che vorremmo” con una lettera, una lettura a due voci creata per l’occasione e nata in tempo di pandemia.
Come accadde al tempo del “Decamerone”, come accadde in molte altre epoche, un virus sconosciuto e mutevole minaccia la comunità. Per la prima volta, però, è tutto il pianeta a essere minacciato, complici la globalizzazione, la vertiginosa velocità degli spostamenti e le caratteristiche dell’economia attuale.
Il virus rivela le piaghe di un mondo consumista e conformista già molto malato e ci spinge a ricominciare un meraviglioso progetto di cambio di rotta, per concertare il disegno di una diversa economia, di città verdi e sane, di una solidarietà tra tutto ciò che vive mai sperimentata prima.
Tutti gli artisti sono privati dei luoghi di lavoro, i teatri chiusi, tutti i progetti sono stati annullati. Dalla clausura, diventata creativa, con lo sguardo più limpido perché libero dall’affastellarsi degli impegni, qualcuno scrive le sue lettere al mondo. Speranza, consapevolezza, ricordi, ritratti, dialoghi, echi di film, romanzi, scritti di scienziati e di economisti. L’utopia chiede il suo spazio.