Modena. Artista di casa in ERT, premio Ubu 2018 come miglior attore e premio ANCT 2018 per la sua interpretazione ne “La classe operaia va in paradiso”, Lino Guanciale approda per la prima volta alla regia, portando in scena per Emilia Romagna Teatro Fondazione “Nozze” di Elias Canetti. Lo scrittore, premio Nobel per la Letteratura nel 1981, ha segnato profondamente il Novecento con la sua voce: “Per i suoi lavori caratterizzati da un’ampia prospettiva, ricchezza di idee e potere artistico”, recita così la motivazione che ha accompagnato il premio.
“Nozze” ha debuttato in prima assoluta sabato 7 dicembre al Teatro delle Passioni di Modena dove resterà in scena fino a domenica 15.
Lino Guanciale si confronta con il primo testo teatrale di Canetti scritto di getto nel 1931, appena terminato il grande romanzo “Auto da fé”, e dirige gli attori diplomati alla Scuola Iolanda Gazzerro di ERT Fondazione Rocco Ancarola, Gabriele Anzaldi, Simone Baroni, Oreste Campagner, Giulio Germano Cervi, Brigida Cesareo, Elena Natucci, Marica Nicolai, Martina Tinnirello, Cristiana Tramparulo, Giulia Trivero, Massimo Vazzana, in scena anche ne “La commedia della vanità” con la regia di Claudio Longhi.
“Nozze” è ambientato all’interno di un condominio abitato da personaggi carichi di cupidigia e smania di possesso, sia erotico che materiale, come sottolinea lo stesso Guanciale: “Canetti punta il dito sul bassissimo orizzonte ideale delle magnifiche e progressive sorti e aspettative del mondo borghese, una realtà involuta la cui ossessione per il possesso come rifugio identitario condanna donne e uomini a un regresso valoriale irreversibile, il cui unico approdo sicuro è la catastrofe. Una grande lezione sulle conseguenze tragiche dell’estremismo conservatore, generatore di clausure mentali oltre che fisiche”.
Durante il matrimonio fra Christa e Michel, festeggiato all’interno del palazzo, Canetti fotografa con la sua tipica causticità i vizi, le ossessioni e le paure dei personaggi, finché la casa minaccia di crollare improvvisamente.
Dietro al grottesco e apocalittico narrare delle basse bramosie da condominio, intriso di eros perverso e vorticoso, Canetti prefigura in Nozze la folle catastrofe dell’Europa nera dei nazionalismi tra le due guerre mondiali.
Note di regia di Lino Guanciale: “Il giovane Canetti, non ancora trentenne ma già capace di comporre “Auto da fé”, uno dei romanzi più significativi a cavallo fra le due guerre mondiali, osserva in “Nozze” il paesaggio di rovine materiali e morali della civiltà europea alla vigilia della notte autocratica nazifascista. Novello Tristano di leopardiana memoria, Canetti punta il dito sul bassissimo orizzonte ideale delle magnifiche e progressive sorti e aspettative del mondo borghese, una realtà involuta la cui ossessione per il possesso come rifugio identitario condanna donne e uomini a un regresso valoriale irreversibile, il cui unico approdo sicuro è la catastrofe. Una grande lezione sulle conseguenze tragiche dell’estremismo conservatore, generatore di clausure mentali oltre che fisiche.
I personaggi coinvolti nella macabra danza di “Nozze”, prigionieri dei loro ruoli sociali e della noia, schiavi dei propri istinti più bassi, mai illuminati da slanci intellettuali o etici, vivono esistenze vuote e asfittiche, imperniate solo sull’ossessione per l’accoppiamento e quella per la proprietà, e appaiono all’autore come l’humus perfetto per la crescita di consenso dello squadrismo hitleriano.
Il grottesco canettiano a tinte forti, estraneo agli stilemi didattici del teatro epico tedesco degli anni ’20/’30, esprime in qualche modo un trittico da “Auto da fé e La Commedia della vanità a Nozze”, e trova forse in quest’ultimo testo il suo parossistico apice espressivo. “Nozze” vibra, infatti, ancor più dei testi sopra citati, del violento realismo delle descrizioni della furia delle masse umane e delle mute animali di Massa e Potere, qui declinata in forma di eros perverso e vorticoso, una forza che pervade e travolge, come nell’infernale Canto V dantesco, le lussuriose figure protagoniste conducendole all’apocalisse: l’emblematico e fatale crollo della loro “casa”. Un crollo che, se si pensa all’anno di pubblicazione di Nozze, il 1932, ovvero un anno prima dell’elezione di Hitler al cancellierato, appare in tutto il proprio potenziale profetico.
A differenza di Dante, però, Canetti non empatizza con le sue creature, bensì le conduce spietatamente ad un epilogo nero in cui non si trova la grazia del castigo, ma solo l’amaro sapore della sconfitta. La sconfitta della civiltà occidentale, tanto raffinata quanto incapace di vincere la morte intesa come abbrutimento, contrazione e immiserimento della facoltà umana di crescere, conoscere e amare.
Obiettivo della regia sarà rispettare sia tale spietatezza che il registro della scrittura insieme tetra e lieve di Canetti, qui abilissimo nel non tradire mai il proprio furore giovanile, cercando una forma di traduzione scenica efficace di quella grande lucidità di sguardo à la maniere di Grosz o Otto Dix con cui egli giudica il proprio mondo indecentemente al tramonto.
Tutto questo in ossequio a quel principio, davvero prezioso ai giorni nostri, di responsabilizzazione del lettore, o mutatis mutandis dello spettatore, che ovunque campeggia nell’opera di Canetti, tutta tesa alla lotta contro le forze dell’annichilimento delle coscienze, ad ogni forma di ripiegamento individualista, contro ogni forza fautrice dei “tempi oscuri” dell’ossessione di massa per la sicurezza e la purezza del sangue”.