Napoli. Dal 26 al 31 marzo al Teatro Bellini è in scena “Ho paura torero” per la regia di Claudio Longhi, assistente alla regia Giulia Sangiorgio, una produzione del Piccolo Teatro di Milano, che ha debuttato in prima assoluta nel gennaio del 2024 a Teatro Grassi.
Più che una trasposizione teatrale (del regista e drammaturgo argentino Alejandro Tantanian, la traduzione invece è di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi) potremmo definirlo un audiolibro perché Lino Guanciale, autore della drammaturgia dell’unico romanzo scritto da Pedro Lemebel, ha scelto la strada più difficile dell’ “edizione teatrale”, quella indicata da Luca Ronconi.
Ossia di non ridurre o adattare il romanzo ma di rappresentarlo così com’è con tutta la terza persona, la voce narrante, operando solo una selezione delle parti da proporre, collegando le une alle altre attraverso frasi, espressioni, canzoni (i travestimenti musicali sono a cura di Davide Fasulo), tratte da altri racconti o raccolte di trasmissioni radiofoniche dello scrittore cileno sottolineandone la sua forza poetica, perché era sì un grande poeta pur non avendo mai scritto un verso, come diceva Roberto Bolaño.
Guanciale ha raccolto la sfida che era di Ronconi di portare in scena “l’irrappresentabile”, cioè un testo bello ma complesso, che da un lato – lui dice – se avesse limitato ai soli dialoghi tra i personaggi avrebbe rischiato di diventare una “bella epopea telenovelesca sudamericana”. Optando, invece, per la versione integrale, il rischio era la pesantezza e la confusione.
Ed è riuscito a schivarlo attraverso in primis uno studio e una comprensione profonda non solo del romanzo ma di tutta l’opera e della vita del cileno, riuscendo così a cogliere e poi proporre il sottotesto ricco di ironia, di capacità visionaria e affabulatoria in cui le vicende individuali si mescolano ad altre collettive.
Tutto accompagnato all’idea del regista del racconto in terza persona, facendo in modo di anticipare in maniera narrativa la battuta dei personaggi, o ancora facendo commentare gesti e stati d’animo con l’obiettivo di attirare l’attenzione dello spettatore e portarlo alla riflessione.
C’è poi un’indagine sulla possibilità dello spazio scenico (le scene sono di Guia Buzzi), inteso non solo del palcoscenico ma del teatro tutto, così si vedono gli attori salire e scendere dal palco, attraversare spesso la sala, utilizzare alcuni palchetti laterali, quelli più vicini alla scena, divisa poi in due piani, tutto per portare lo spettatore a spostare il proprio sguardo e quindi il proprio punto di vista e l’approccio alla narrazione.
Il pubblico è costretto ad attivarsi, a non recepire passivamente quello che accade non solo davanti ma intorno, a sé, in un teatro, trasformato per l’occasione in una scena unica.
Ed è chiamato a porsi in chiave critica rispetto al testo che ha un significato sociale e civile profondo, espresso a tratti con intelligente ironia – cosa in cui Guanciale riesce molto bene – in altri con grande delicatezza e poesia, perché capace lui di cambiare repentinamente registro e intenzione senza cali di tensione.
Accanto alla storia d’amore della Fata dell’angolo (un omosessuale travestito) che vive a Santiago del Cile e ospita nella sua soffitta Carlos, giovane e bello studente universitario, sullo sfondo – ma poi mica tanto – c’è il racconto del fallito attentato del 1986 al dittatore Pinochet per mano del Fronte patriottico Manuel Rodríguez che era il braccio armato del Partito Comunista di cui Carlos era militante.
E anche quella tra Fata e Carlos non vuole essere una semplice love story fine a se stessa ma l’occasione per rivendicare i diritti delle minoranze, in questo caso degli omosessuali, transessuali e delle donne perché Lemebel ha sempre combattuto al loro fianco.
Guanciale, con una compagnia all’altezza dell’impegno richiesto, ha visto Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Mario Pirrello, Arianna Scommegna, Giulia Trivero rivestire ruoli differenti, in particolare simpatica e volutamente sopra le righe la first lady che ha proprio la funzione di creare quell’attrito tra il teatro e la vita reale per portare il pubblico a riflettere e interrogarsi.
Contribuiscono infine i costumi di Gianluca Sbicca, le luci diMax Mugnai e il visual design di Riccardo Frati a fare in modo che quel sorriso del torero difficilmente venga dimenticato.