“Macbetto o la chimica della materia” al Teatro delle Passioni

Modena. Martedì 2 e mercoledì 3 aprile alle ore 21.00 il Teatro delle Passioni di Modena ospita “Macbetto o la chimica della materia”, uno spettacolo di Roberto Magnani ispirato al Macbetto di Giovanni Testori.
Con questo testo di Testori, Magnani prosegue la ricerca rivolta agli aspetti musicali della lingua teatrale. Il percorso, cominciato con “E’ bal”, poemetto in versi in dialetto romagnolo del poeta Nevio Spadoni, si inscrive nella storia del Teatro delle Albe, segnata dalla visione artistica di Ermanna Montanari e Marco Martinelli che dello stesso autore hanno messo in scena “Lus e L’isola di Alcina”.
Giovanni Testori – autore caro al Teatro delle Albe (si ricorda “A te come te”, lettura scenica per la voce di Ermanna Montanari, 2013) – per la scrittura del “Macbetto” attinge più da Verdi che da Shakespeare. La lingua che Testori inventa per questo testo ha una musicalità interna molto forte che sembra suggerire il ritmo ossessivo dei cori delle streghe dell’opera verdiana, e possiede entrambi gli andamenti contrastanti dell’Overture: la furia guerresca e il deliquio amoroso.
“Il Teatro esige una propria lingua – afferma Roberto Magnani – che io cerco diversa e lontana da quella del quotidiano,e la lingua che Testori offre alla scena affascina proprio in quanto invenzione. Testori consegna in Macbetto una lingua poetica che si fa canto.
A partire dal testo originale si è operata una riduzione, ricavandone solo tre figure, espungendo dunque il Coro e omettendo l’ambientazione della chiesa sconsacrata. Sarà il Teatro in sé a diventare una specie di chiesa sconsacrata, mentre alcune parti del Coro verranno ridistribuite ai tre personaggi principali: Macbet, Ledi Macbet e la Strega. Le tre figure sembrano dettare un continuo e ciclico movimento di generazione vicendevole, come se fossero, ciascuna, una e trina. Tramite un parto defecatorio, Macbet genera la Strega, legata indissolubilmente alla Ledi (sanno le stesse cose: hanno la stessa voce o sono proprio la stessa persona?). Nel finale Macbet vorrebbe, se non proprio scomparire, quanto meno rientrare nell’utero della donna, come se fosse quello della sua stessa madre, mentre la Strega, sempre nel finale, viene reincorporata non più dentro Macbet, che l’aveva generata, ma nel ventre della Ledi cui spetterà l’atto conclusivo. Il maschile e il femminile sono in continua discussione, scambio, mutazione.
D’altronde c’è un Eros nero nel testo, un Eros rovesciato nella sua parte oscura, malata, ossessiva: un priapismo che passa dall’uomo alla donna. Eros e Priapo di Gadda sembra essere allora il libro segreto che soggiace al testo, la traccia nascosta nel fondo del fondo più nero di questo infernale Macbetto testoriano.
Un incessante interrogarsi sul potere e sulla sessualità del potere – “Il Poteraz” – sul sesso come strumento di potere, tema quanto mai attuale nell’era del Pop Porno.
Il testo, greve e impuro, è imbevuto e lordato di ogni possibile liquido corporale: feci, sangue, sperma, urina. Macbetto è infatti un’opera materica, biologica, un farsi e disfarsi continuo che richiama le ragioni profonde del teatro stesso, essendo quest’ultimo, appunto, biologia. Ricorre quindi un continuo sporcarsi (il pensiero va ad artisti come Olivier de Sagazan o Paul McCarthy, che saranno fonti d’ispirazione per l’allestimento scenico), ma contrastato dalla tensione tutta verticale a cui si aggrappa il personaggio di Macbet, soprattutto nei dialoghi diretti con colui che sembra sovraintendere a ogni cosa, lo Scrivano “creatore di me e di questa lingua porcellenta e falsatoria”.
La medesima impurità caratterizzerà la relazione tra gli interpreti dello spettacolo. I tre attori-performer, provenienti da teatri e percorsi diversi, dovranno cercare la difficile intonazione di tre strumenti differenti, dell’unirsi restando disuniti, dell’amalgamarsi restando se stessi, per inquinarsi a vicenda preservando e facendo anzi esplodere la precisa identità di ciascuno. Intendo insieme cercare quell’accordo alchemico di diverse e peculiari lingue sceniche appreso in venti anni di bottega al Teatro delle Albe”.

Roberto Magnani si avvicina giovanissimo al Teatro delle Albe partecipando alla non-scuola, i laboratori che la compagnia conduce dal 1991 in tutti gli istituti superiori di Ravenna. Nel 1998 viene scelto per interpretare uno dei dodici palotini nello spettacolo “I Polacchi”, testo e regia di Marco Martinelli, ispirato all’Ubu re di Alfred Jarry. Lo spettacolo raccoglie un successo internazionale. Dopo “I Polacchi” entra a far parte stabilmente del Teatro delle Albe e lavora in tutti gli spettacoli successivi della compagnia. Vince il prestigioso Premio Lo Straniero 2001 per l’interpretazione di “Baldus. Riscrittura per lampi da Teofilo Folengo”. Dal 2002 è guida nei laboratori non-scuola. Nel 2009 debutta con “ODISÉA” “lettura selvatica” di Tonino Guerra, in cui per la prima volta si cimenta da solo in un lavoro-esercizio per affinare l’uso del dialetto romagnolo come lingua di scena. Questo percorso è proseguito con “E’ bal”, poemetto scritto da Nevio Spadoni e realizzato insieme al musicista Simone Marzocchi.
Nel 2016 è direttore artistico del Cabudanne de sos Poetas (Settembre dei poeti), un importante festival di poesia che si tiene da 12 anni a Seneghe (OR).
Roberto Magnani ha pubblicato su riviste come Lo straniero e Gli Asini (dirette da Goffredo Fofi) e Venezia Musica e dintorni (diretta da Leonardo Mello per Fondazione Venezia), e sul libro Il Teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita attraverso l’arte (a cura di Debora Pietrobono e Rodolfo Sacchettini, edizioni dell’Asino).

Dopo gli studi in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Firenze Eleonora Sedioli, a 23 anni, inizia il suo percorso artistico con Masque teatro. Alterna il lavoro di attrice e scenografa a quello di organizzatrice. Un atletismo solido la spinge ad affrontare la scena come un lottatore danzante. A lei è dedicata una sezione del libro fotografico “Overground Visioni dalla scena performativa italiana”, di Luca Del Pia, edizioni Boiler. Al 2011 risale l’incontro con il fotografo Enrico Fedrigoli, con il quale tuttora porta avanti un progetto complesso legato al corpo, fissato con la tecnica del banco ottico. “Il Presente” (2013) è la sua prima creazione, dove il corpo adagiato su di una lamiera metallica e azionata da pistoni pneumatici si fa sostanza pulsante. Nel 2015 viene invitata a partecipare alla Piattaforma della Danza Balinese al Festival di Santarcangelo. “Kulmat” (2016) è la sua ultima creazione dove il movimento anamorfico lascia il passo ad una slancio selvatico del corpo.

Consuelo Battiston si forma principalmente attraverso i progetti Zampanò (ERT/Santarcangelo dei Teatri, 2002) ed Epidemie (ERT/Teatro delle Albe, 2004). Nel 2005 fonda con Gianni Farina la compagnia Menoventi, di cui è attrice e ideatrice: dal monologo Semiramis (2008) alle successive sperimentazioni di rapporti diversificati con il pubblico. Con Menoventi ha vinto la prima edizione del Premio Rete critica, il Premio Lo Straniero, il Premio Hystrio-Castel dei Mondi, il Premio Loro del Reno e il secondo premio di Extra-segnali della nuova scena italiana. Cura per la compagnia il Wam! Festival a Faenza. Ha collaborato inoltre con le compagnie Fanny & Alexander e Blue Motion.

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