“Maestri alla Reggia”, Pierfrancesco Favino: «La fiaba è ancora possibile»

Caserta. Il vestibolo superiore della Reggia di Caserta, il suggestivo luogo dove si svolge la settima edizione della rassegna culturale “Maestri alla Reggia”, è sempre molto affollato quando sono ospiti i protagonisti del grande cinema italiano. Però, quando è il turno di Pierfrancesco Favino finisce che non c’è posto neanche per uno spillo. Già un minuto dopo l’avvio delle prenotazioni online non c’era più disponibilità di posti, perché l’attesa in città è stata davvero alta. E Pierfrancesco Favino, per molti Picchio, l’attore italiano più bravo (non il più popolare – come tiene a precisare Federico Pontiggia che lo ha intervistato) non ha deluso le aspettative.
L’attore, straordinario interprete di numerosi film di successo e di opere teatrali, la sera del 17 dicembre scorso è stato ospite della rassegna culturale che a Caserta fa incontrare i protagonisti del grande cinema italiano. Realizzata dall’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e organizzata da Cineventi, con la collaborazione del Comune di Caserta, dell’Associazione Amici della Reggia e con il contributo economico della Camera di Commercio, è giunta alla sua settima edizione. Anime della rassegna, il direttore artistico Remigio Truocchio e la professoressa Lucia Monaco. Da qui negli anni sono passati Michele Placido, Enrico Vanzina, Emanuele Crialese, Isabella Ferrari, Salvo Ficarra e Valentino Picone, Gabriele Salvatores, Marco Bellocchio, Pupi Avati, Mario Martone, Paolo Virzì, Ferzan Ozpetek, Paola Cortellesi, Carlo Verdone, Margherita Bui, Sergio Castellitto, Gianni Amelio, Giovanni Veronesi, Matteo Garrone, Gabriele Muccino, Gianfranco Rosi, Paolo Genovese, Giuseppe Tornatore, Claudia Gerini, Antonio Albanese, Elena Sofia Ricci, Edoardo De Angelis, Carolina Crescentini e tra qualche giorno sarà la volta di Vanessa Scalera.
Ma torniamo a Pierfrancesco Favino. Qui, nella Reggia di Caserta, dove in passato aveva già girato le scene di “Angeli e demoni”, l’attore che ha origini pugliesi ha portato in primo luogo la sua simpatia, il suo sorriso appena accennato, la sua disponibilità a rispondere alle incalzanti domande del giornalista che lo ha intervistato e l’amore per la Campania e la napoletanità.
L’artista è stato introdotto dalla professoressa Lucia Monaco, che ha voluto sottolineare quanto il suo impegno professionale sia da esempio per i giovani e in particolare per i suoi studenti che, restando in piedi per lasciar posto al pubblico presente, hanno fatto da cornice all’affollato vestibolo.
Il piacevole dialogo con Federico Pontiggia non poteva non partire dall’ultimo lavoro che da novembre è nelle sale, “Napoli – New York”, per la regia di Gabriele Salvatores che non solo ha superato “Berlinguer – La grande ambizione” ma, come ha esordito Favino, la Campania risulta la seconda regione al botteghino. E alla domanda: «Te lo aspettavi?». Favino, con ironia, risponde: «Anzi, mi aspettavo di più, perché sono un ambizioso, nel senso buono».
«Napoli – New York è un film che sta avendo successo sul passaparola, che funziona sempre», ha proseguito Favino. «Sui social, oggi tutto sembra avere successo, ma il pubblico, seppur disorientato, poi sceglie». Per Favino questo film dice due cose: «La prima è che la fiaba è ancora possibile, la seconda che il family si può fare anche in Italia e non solo in America e alla Disney».
«Anche morire di fame è illegale …» dice Celestina, interpretata da Dea Lanzaro, la giovanissima promessa del cinema italiano e internazionale, che è di poche parole, ma quando apre bocca emette sentenze, perché di questi tempi nessuno dovrebbe morire di fame. «In tempi come quelli attuali sentire una frase del genere è molto importante» sostiene Favino.
Tiene a precisare che questo non è solo un film sull’immigrazione e che comunque l’immigrazione non è il centro del film. Salvatores ha utilizzato l’immigrazione per dire un’altra cosa: «In realtà parla di due ragazzi che vogliono fare la vita che hanno scelto, anche se mettendo due bambini su una nave non puoi non parlare di emigrazione. Si tratta di un realismo magico, un filone sugli esseri umani che possono aiutarsi in ogni situazione».
In “Napoli – New York” Favino interpreta un personaggio che non ingombra la storia e quando gli viene chiesto perché ha scelto di interpretare un ruolo che tutto sommato è secondario confessa: «Ora me lo posso permettere, un tempo non potevo, ma ho scelto questo film, sebbene non sia il protagonista principale, in primo luogo perché non avevo mai partecipato ad una favola e poi perché questo è un film che ti riconcilia con il cinema e anche perché potevo giocare con gli archetipi. Domenico Garofalo, il personaggio che interpreto, all’inizio ha qualcosa di meschino e di egoistico, ma che davanti ad una scelta diventa altro, tira fuori il cuore. E finisce che da questo film ne esci felice».
Sollecitato dalle domande di Pontiggia, Favino ha ripercorso la sua intera carriera raccontando aneddoti simpatici e inediti, mostrando di essere consapevole di fare un lavoro collettivo, che impiega tante persone, ognuna con i suoi problemi, con le sue difficoltà, ma con la voglia di svolgere bene il proprio ruolo. Basti pensare che “Napoli – New York” ha impiegato circa 3000 comparse.
«Il pericolo è il mio mestiere», risponde scherzosamente quando gli viene chiesto quante volte sul set ha provato il pericolo. «Cavalli, staccionate, duelli, il dover andare verso risposte emotive più scioccanti di quelle che ti aspetti. Ho avuto anche degli incidenti. Una volta per un errore mi sono esplose in faccia delle cariche e non potei neanche protestare con nessuno perché quel film lo stavo producendo io stesso».
Professionalità, ricerca, approfondimento, conoscenza delle storie e dei personaggi che Favino ha interpretato dicono quanto impegno egli ci metta nel fare un mestiere che dall’esterno appare tutto lustrini. Imperdibile il racconto di quanto lavoro ci sia stato dietro l’interpretazione del personaggio di Tommaso Buscetta ne “Il traditore”, il film di Marco Bellocchio sulla mafia e la collaborazione con la giustizia del primo – insieme a Salvatore Contorno – dei personaggi che consentirono al giudice Giovanni Falcone di svelare molti dei misteri della Cosa Nostra siciliana. Ci scherza un po’ nel raccontare gli aneddoti intorno a questa lavorazione: «Al primo provino per questo film Bellocchio mi scartò, poi qualche tempo dopo ne feci un altro in costume e Bellocchio mi prese per come ero andato nel primo». Poi serio: «Questo film lo volevo fare, Buscetta lo volevo interpretare e fu la sera della premiazione del David di Donatello, dove io non ero tra i premiati», precisa, «che Bellocchio sciolse la sua riserva, lo capii dall’espressione di qualcuno in sala, mentre io ero ancora sul palco. Quello fu il mio “non premiato” più felice della mia vita».
Ma è quando affronta la questione dell’etica professionale che Favino fornisce l’idea della professione dell’attore: «Come attore metti da parte la tua etica e vesti quella dell’attore che deve interpretare il personaggio. E allora ecco che studi il personaggio, entri in relazione con lui, con il suo mondo e con quello del mondo avverso. Studiando Buscetta ho dovuto accettare anche che per un certo periodo il mio telefono fosse messo sotto controllo. Ho compreso che Buscetta, figlio di un vetraio, faceva di tutto per costruirsi un corpo che fosse come un’arma. Non voleva che si vedesse la sua pancia e il suo modello di eleganza era Gianni Agnelli, mentre provava ad allontanare, cancellare da sé, l’idea che fosse il figlio di un vetraio che fabbricava gli specchi. Ho studiato i codici mafiosi e ne ho compreso le logiche. Buscetta se fosse stato un cardinale sarebbe diventato Papa».
E ancora, si sofferma su “Hammamet”, il film diretto da Gianni Amelio, dove Favino, magistralmente, interpreta Bettino Craxi, il segretario del Partito Socialista Italiano costretto in esilio in Tunisia: «Per interpretare la figura di Bettino Craxi e la sua straordinaria capacità prossemica», dice Favino, «furono necessarie cinque ore di trucco al giorno. Sapevo che gli spettatori al cinema si sarebbero portati il loro Craxi e non potevo deluderli».
Molte delle battute di un film sono scritte, ma, Favino, parlando di quelle linee che sul set sono segnate per terra, affinché l’attore non vada oltre, spiega: «Spesso le parole sono solo una traccia, ma non si sa cosa si andrà a trovare sul set e io cerco di non sbagliare, o di sbagliare il meno possibile, di non superare mai quella linea, linea che io comunque non faccio segnare, ma che inevitabilmente non travalico mai, perché non voglio che si sprechi neanche un metro di pellicola».
«Quando è che ti sei detto sono bravo?». A questa domanda Favino risponde: «No, non me lo sono mai detto! Non c’è un artista che prima di morire dica: ora sono bravo».
Sappiamo che ci sono film che al botteghino sono dei flop, ma che invece sono dei grandi film. I film interpretarti da Pierfrancesco Favino non sono flop al botteghino e sono anche dei grandi film. Da una sera di dicembre a Maestri alla Reggia.

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