Roma. Si terrà il 15 novembre presso la Sala Barberia del Senato della Repubblica un incontro nel quale tecnici, forze dell’ordine, istituzioni, giornalisti e scrittori, si confronteranno relativamente alla tematica della lotta alle mafie, accendendo – in particolare – un faro sul ruolo dei media nel contrasto alla criminalità.
Tra i relatori vi sarà anche Giovanni Taranto, giornalista specializzato in cronaca nera, giudiziaria e investigativa, autore di importanti inchieste sulla camorra nel napoletano, dal 2019 al 2021 Presidente dell’Osservatorio permanente per la legalità del Comune di Torre Annunziata ed ora vicepresidente della Commissione legalità dell’Ordine dei giornalisti della Campania, il quale ha da poco dato alle stampe il suo terzo romanzo dedicato alla saga del Capitano Mariani, “Mala Fede”, edito da Avagliano Editore.
Dopo aver indagato, con il primo romanzo (“La fiamma spezzata”), la genesi di un cold case relativo ad un crimine privato ed il groviglio delle talvolta distorte relazioni familiari; dopo aver tracciato con il secondo libro (“Requiem sull’ottava nota”) un affresco complessivo ed inquietante del crimine organizzato del Vesuviano; in questa occasione Taranto insieme al suo protagonista, il capitano Giulio Mariani – comandante della compagnia dei Carabinieri di San Gioacchino, paese immaginario alle falde del Vesuvio – ci porta all’interno del complicato rapporto tra religione e superstizione, puntando la sua attenzione sulla deviante relazione tra potere criminale e devozione religiosa.
Nella terra del Vesuvio, nelle cui viscere si celano fiumi di magma, un altro fuoco arde sotto l’apparente normalità. Un piano diabolico si propone di sottrarre un oggetto-simbolo caro a milioni di fedeli, oltraggiarlo e distruggerlo in nome di una perversa devozione alle tenebre.
Eventi inspiegabili e segnali inquietanti si rincorrono durante al mese più caro al culto Mariano, il mese di maggio, gettando sull’intera vicenda l’ombra del soprannaturale, fino al compimento del crimine allungo pianificato nel modo più clamoroso e inspiegabile.
Con la Pm Clara Di Fiore, gli uomini del Nucleo Operativo e l’amico giornalista Gianluigi Alfano, il Capitano Mariani dovrà fare luce su una scia di sangue e sul furto d’arte del secolo, spingendosi fin quasi a un incidente internazionale.
Fedele al suo stile, che intreccia elementi narrativi di completa invenzione alla descrizione di tradizioni popolari linguistiche, gastronomiche, religiose, concedendosi anche digressioni dotte ed argomentate sui più disparati argomenti, in questo romanzo l’Autore propone anche un’attenta narrazione di eventi reali che hanno segnato il profondo percorso di fede e conversione di una delle figure più carismatiche del cattolicesimo vesuviano, il cui passato oscuro è ignoto ai più: il Beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario della Madonna del Rosario a Pompei.
Spiccano in questo romanzo le figure femminili: la Pm, Clara Di Fiore, l’inviata del Vaticano, Virginia Redovnica, la piccola Maria Di Nola e su tutte Lei, la Vergine del Rosario; ognuna di queste donne ci colpisce con il suo carattere, con il proprio vissuto, talvolta dolente, tragico, tutte accomunate dalla capacità di proteggere, di prendersi cura di ciò che viene loro affidato; capacità di cura e protezione che viene incarnata, nel senso più alto, dalla Madonna e dalla preghiera che con lei si identifica: il Rosario.
Fa da cornice alle indagini la fede dei Carabinieri, semplice ma profonda, e la loro devozione alla Vergine tanto forte da portare i militari dell’Arma a personificare, quasi come se fossero vivi, i protagonisti dell’icona trafugata; a controbilanciare tutto ciò c’è l’acume investigativo del Capitano, la sua razionalità che sembra fermarlo appena sulla soglia del mistero Mariano; non sappiamo se il Capitano condivide la fede granitica dei suoi uomini ma sicuramente la rispetta e sospende il suo “giudizio”, mettendosi comunque a disposizione per il recupero della sacra immagine.
Forse l’unico indizio che possiamo cogliere della sua personale posizione è quando in un passaggio del romanzo afferma che l’indagine sulla morte violenta di alcune persone deve avere la priorità su tutto, anche sul recupero della preziosa reliquia, quasi a riportare al centro l’umano e l’esigenza di giustizia degli uomini.
Sullo sfondo la Pompei “cristiana”, meno nota di quella “archeologica”, ma non meno importante per gli abitanti del luogo e per i fedeli di tutto il mondo, con le sue cerimonie ed i suoi riti, come la Supplica, la sua Basilica, straordinariamente descritta, la storia spesso sconosciuta del quadro della Vergine ivi custodito e del suo fondatore, che ci ricorda come vi sia un impasto tra bene e male in tutte le cose e in tutti gli uomini, ma che per tutti c’è una speranza di riscatto.