Milano. Lo scorso weekend, dal 17 al 19 settembre, si è svolta a Milano “Miart”, la fiera internazionale d’arte contemporanea e moderna che proprio quest’anno ha celebrato il venticinquesimo anniversario dalla propria inaugurazione.
Si è trattato della prima fiera d’arte in presenza dell’era post-Covid ed è proprio per questo che, immergendosi tra galleristi e visitatori, si respirava un’aria di coinvolgente e frizzante serenità ispirata anche dal calzante titolo voluto dal direttore Nicola Ricciardi: “Dismantling the silence”.
I galleristi di tutto il mondo, per festeggiare e omaggiare questa riapertura, hanno portato con loro opere di alcuni tra i più grandi artisti di livello internazionale.
Anche a chi non a ampie conoscenze nel mondo dell’arte e soprattutto è digiuno delle correnti sviluppatesi negli ultimi decenni, sono saltati immediatamente all’occhio i disegni e i piccoli dipinti di Umberto Boccioni, una tempera a mano di Mario Sironi portati dalla galleria milanese Bottengantica e una classica tela di Lucio Fontana, “Attese”, di Tornabuoni.
Tra le opere che sicuramente hanno grande portata innovativa, spiccava senza alcun dubbio “Landscape” di Domenico Antonio Mancini, presso lo stand di “Lia Rumma”, che vuole rivedere l’idea tradizionale di paesaggio. L’artista rimuove dalla tela l’immagine, che viene sostituita da una sequenza alfanumerica che corrisponde a un indirizzo internet del sito Google Street View.
Il suo potere rivoluzionario nasce proprio dalla volontà di mettere in dialogo il mondo reale e virtuale, il linguaggio abituale e quello della realtà web. Offre profonde riflessioni sul legame tra arte e intelligenza artificiale, che nel periodo storico attuale raggiunge un’importanza ancora maggiore.
In un momento in cui tutto il resto del mondo sembra distante e quasi irraggiungibile, quanto può essere rassicurante sapere che qualsiasi panorama vogliamo ammirare è a portata di click?
Ciò che forse colpisce, strabilia e appaga di più è il forte sentimento di inclusivity rispetto al quale è difficile rimanere impassibili.
Immersi tra tele di grande prestigio e profondo significato, vi erano lavori di artisti provenienti dall’intero globo che urlano un semplice messaggio: “Siamo tutti uguali”, e gridano il dolore di chi l’uguaglianza non ha potuto, e forse mai potrà, conoscerla.
Giovanni Bonelli ha portato a Miart 2021 le opere di Gonçalo Mabunda, che ha rappresentato il Mozambico alla Biennale di Venezia nel 2019: per raffigurare la devastante situazione sociale e politica del proprio Paese natale, da sempre teatro di sanguinosi conflitti, egli compone i suoi lavori, delle maschere, con armi e proiettili veri recuperati sui campi di combattimento, trasformando così la sua arte in uno strumento di denuncia.
La galleria Kaufmann Repetto di Milano ha dedicato amplio spazio all’artista Adrian Paci che da sempre, nei suoi capolavori, rivolge l’attenzione ai membri emarginati dalla comunità. È stato possibile ammirare una delle sue opere più conosciute, “The Column” (2013), raffigurante la prua di un barcone, still del famosissimo e purtroppo ancora attuale video “Centro di Permanenza Temporanea” girato nel 2007 che ha come obiettivo quello di umanizzare, raccontandone la condizione sociale, le figure dei migranti. La barca, ammaccata e sporca, è raffigurata mentre solca, sola, il mare: simboleggia non solo il terribile e spesso fatale viaggio di chi si imbarca su queste fatiscenti vascelli, bensì la condizione di estromissione sociale che spesso devono subire queste persone una volta approdate in un altro Paese che, seppur privo di conflitti armati, non è ancora in grado di dar loro una casa.
È stato portatore di intenso rilievo comunitario anche il dittico di opere tessili, del medesimo artista, che raffigura pagine di taccuino di una persona autistica, incontrata da Adrian Paci presso la Comunità di Sant’Egidio a Roma.
La celebre Galerie Hubert Winter di Vienna ha portato al Miart 2021 Mary Ellen Carroll, pittrice newyorkese di cui è stato possibile ammirare due tele identiche, poste l’una accanto all’altra, che nascondono proprio nella perfetta coincidenza il messaggio di cui si fanno portatrici: l’artista svincola i cardini del nucleo familiare per normalizzare le famiglie arcobaleno e schierarsi dichiaratamente a favore delle adozioni omosessuali che, come tutti sappiamo, sono attualmente oggetto di dibattito politico e mediatico a livello mondiale.
Infine, è irrinunciabile menzionare il progetto “Inhabiting without Belonging” di Margherita Moscardini collocato presso lo stand di Renata Fabbri: una scelta di sculture e disegni realizzati immaginando una terra come l’alto mare, lontano 200 miglia dalle coste, inafferrabile dalla sovranità di alcuno stato e considerato, dunque, bene comune dell’umanità. Queste opere invitano il fruitore a superare l’idea di un pianeta diviso in stati sovrani, per immaginarlo come uno spazio di cittadinanza universale dove però siamo solo ospiti temporanei: vi abitiamo, ma non ci appartiene. Si tratta di un’esortazione a pensare e mettere in atto un atteggiamento più rispettoso e cosciente verso la nostra casa.
Miart 2021 rappresenta appieno le opportunità di dialogo e riflessione personale che l’arte, da sempre e in tutte le sue forme, è capace di ispirare. È stata un’occasione imperdibile per immergersi nel panorama artistico mondiale degli ultimi decenni, dove anche i profani di arte contemporanea e moderna hanno potuto scoprirne la profondità e l’incantevole bellezza.
Alla luce del fascino dell’edizione di quest’anno, non si può che attendere con impazienza Miart 2022!