Napoli. La drammaturgia sanguigna e appassionata di Mimmo Borrelli arriva sul palcoscenico del Teatro Nuovo di Napoli con il plurupremiato spettacolo “Malacrescita”, tratto dalla tragedia “La Madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma”, che sarà in scena da venerdì 10 gennaio 2020 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 12).
Presentato da Associazione Culturale Sciaveca, l’allestimento, interpretato e diretto da Mimmo Borrelli, si avvale delle musiche in scena di Antonio della Ragione, gli oggetti di scena, elementi e spazio scenico a cura di Luigi Ferrigno, il disegno luci di Gennaro Di Colandrea.
Con una lingua letteraria e popolare insieme, ispirata alla parlata di quei campi flegrei di cui è originario, Borrelli “racconta” la storia di Maria Sibilla Ascione, figlia di camorrista e di camorrista innamorata. È una Medea contemporanea, intossicata dalle esalazioni della terra dei fuochi, e cerca vendetta contro un Giasone che risponde al nome di Francesco Schiavone Santokanne, intraprendente bulletto di periferia determinato e disposto a tutto, per favorire la sua ascesa al potere, tra le fila delle cosche camorristiche.
Narratori delle folli trame insanguinate della tragedia sono proprio i figli, nati da parto gemellare, che la madre non uccide ma rende scemi, avvinazzandoli invece di allattarli, e che lascia vivere, abbandonandoli come rifiuti, come le discariche innaffiate dal percolato.
I due gemelli, come cani abbandonati alla catena dei ricordi, rivivono i fatti tra versi, rantolii, filastrocche, rievocando gli umori, le urla, i mormorii della loro aguzzina, in un ossessivo teatrino quotidiano.
“Nel testo originale – così Borrelli in una nota – è la madre sopravvissuta a raccontare. Qui, invece, capovolgiamo il punto di vista e dunque la drammaturgia della scena, immaginando che tutti i protagonisti di questa storia siano ormai defunti e gli unici sopravvissuti, agonisti giullari, diseredati, miserabili, siano proprio i due figli, i due scemi che dementi rivivono i fatti, rinchiusi tra le pareti di un utero irrorato di solitudine. L’unico gioco rimane e consiste nel rimbalzarsi, tra gli spasmi della loro degenerata fantasia, sul precipizio di un improvvisato altare tombale di bottiglie di pomodori e vino eretto in nome della loro mamma: ’u cunto stesso, la placenta, l’origine della loro malacrescita”.
La lingua di Borrelli non risparmia nulla, scava nei corpi sofferenti dei personaggi per portarne a galla tutta la sporcizia, le mostruosità, i miasmi, ma da quella volgarità esibita e bestiale prendono vita inaspettati incanti poetici.