Faenza. Il MEI si conferma un evento di grande spicco per la musica indipendente, un festival ricco di nuove proposte provenienti da tutta Italia. Il palco giovani rappresenta sempre una bella vetrina per gli emergenti e non da qui è possibile vedere e ascoltare nuove proposte musicali che in certo senso vanno ad anticipare o spoilerare ciò che potrebbero essere i futuri sound della musica emergente italiana. Tra questi esordienti c’è Paolo Mormile, in arte MORMILE, con le idee molto chiare. Solista con un suono molto personale capace di unire numerosi stili sobri pur essendo contemporaneo. Sperimentazione e curiosità sono caratteristiche che lo contraddistinguono sia nei testi che nella melodie. Con lui abbiamo fatto una chiacchierata a esibizione conclusa.
Ciao Paolo, parlaci un po’ di te.
Ciao! Sono di Aversa e sono un “cantautore”, anche se è una definizione che non amo utilizzare. Richiama un immaginario di una certa autorità, ma di fatto scrivo e canto i miei brani. Le primissime canzoni ho iniziato a scriverle a 16/17 anni, la musica ha praticamente sempre fatto parte della mia vita e a quell’età ho iniziato a capire che farla stava diventando un’esigenza per me. Una sorta di salvezza.
Qual è il processo creativo che c’è dietro una canzone?
Il processo creativo è la parte che più mi appaga. È affascinante, mistico e nuovo ogni volta. Per uno come me, a cui piace accompagnare per mano le canzoni dalla prima sillaba fino all’ultimo suono, assistere ed essere veicolo di questo straordinario “parto” è qualcosa che ti amplia il bagaglio emotivo e ti allarga gli orizzonti. Il punto è che non c’è una regola fissa, spesso parto da una melodia su cui poi strutturo il testo, altre volte viceversa e quindi è il testo poi che deve modellarsi ad una melodia, ma quasi sempre quando so di star scrivendo una canzone butto giù le parole già in metrica disegnando una melodia in testa. Altre volte mi è capitato invece di partire da arrangiamenti già piuttosto definiti o arpeggi di chitarra, linee di basso, e in questo caso devi rispettare quello che la musica ti suggerisce. Insomma, è un mondo in cui amo perdermi.
Qual è la vision del progetto e le sue influenze?
Venendo da un passato con una band, ho un’ossessione per il sound. Cerco sempre di avere un suono riconoscibile, che inevitabilmente parte da influenze rock, funk, ma cercando di galleggiare sul linguaggio del pop. Ovviamente la scrittura ricopre un ruolo primario, ma il sound è un aspetto equivalente ed è anche un lavoro di continua ricerca, il che ti stimola ad ascoltare tonnellate di musica sempre nuova. È fondamentale. Il focus attuale è quello di avere un progetto di rottura, che prende in prestito sonorità degli anni ‘70 unite all’elettronica e a componenti digitali. Viviamo in un’epoca complessa, controversa, ma uno dei suoi vantaggi è quello di poter attingere da tantissime fonti e poter modellare l’arte con conoscenze praticamente sconfinate che prima non avevamo. Mi piacerebbe accrescere ancor di più questa visione e poter racchiudere questa contraddizione in maniera ancor più matura nei miei brani.
Che differenza c’è tra il tuo primo brano e il tuo ultimo singolo “LTMTV”?
Domanda tricky. Praticamente completano un cerchio, si tengono per mano. Il mio primo brano pubblicato, “L’altra parte di me”, fa parte del progetto della band “LEITMOTIV”. “LTMTV” il nome del prossimo singolo, è ovviamente un’abbreviazione della parola “leitmotiv”. La cosa curiosa è che questo brano, scritto nel 2018, ha dato i natali al nome della band. Scrivendone i versi avevo fatto girare le rime intorno a questa parola, che mi sembrava avesse un suono fresco, moderno, nonostante derivasse dal tedesco e dalla musica classica. Mi sembrava figo. In quel periodo la band era appena stata messa in piedi e non avevamo un nome, così lo proposi come e piacque anche agli membri. Quindi, “LTMTV”, come canzone, nasce in verità ancor prima de “L’altra parte di me”, e la cosa curiosa è che c’è un verso che cita testualmente “lo sguardo verso un’altra parte di me, che vorrei potesse rinascere”. Entrambe raccontano un disagio, un conflitto, sono scritte dando ascolto alla stessa sfera emotiva. Le reputo due canzoni sorelle.
Com’è stata la tua esperienza al MEI?
Veramente una figata. Per tanti aspetti. Suonare è sempre bello, farlo su palchi importanti e ben organizzati ti fa godere ancora di più. E poi, Elisa. Avere l’opportunità di averla a pochi passi da me e sentire degli aneddoti così “nascosti” della sua vita e della sua carriera è stata un’esperienza folgorante. Una dea della musica italiana, non aggiungo altro. La sua storia parla da sé.