Napoli. Il Teatro di San Carlo omaggia il santo patrono della città con un concerto speciale al Duomo di Napoli: giovedì 30 settembre alle 19.30 José Luis Basso dirigerà Orchestra e Coro del Massimo napoletano nella “Cantata per San Gennaro” di Gaetano Manna, una prima esecuzione in tempi moderni.
Tra gli interpreti vocali Maria Grazia Schiavo (Speranza), Lucia Cirillo (Fede), Federico Fiorio (Amor Divino) e Diego Godoy (Genio Celeste).
Composta nel 1788, la “Cantata per San Gennaro” di Gaetano Manna si inserisce nel percorso di riscoperta e valorizzazione del patrimonio settecentesco napoletano, indissolubilmente legato alla storia del San Carlo.
Gaetano Manna infatti, nipote del più famoso Gennaro Manna, fu tra i protagonisti dell’età aurea della “scuola musicale” napoletana del pieno Settecento. La Cantata è conservata in copia unica nel prezioso archivio musicale dell’Abbazia di Montecassino.
Altro appuntamento al Duomo di Napoli sarà quello di venerdì 29 ottobre alle 19.30 con il “Requiem in re minore per soli, coro e orchestra, K 626” di Wolfgang Amadeus Mozart che vedrà Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo nuovamente diretti da Josè Luis Basso.
La Fondazione Teatro di San Carlo ringrazia, per questi due appuntamenti l’Arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia e Monsignor Vincenzo Papa.
Dal testo introduttivo di Dinko Fabris nel programma di sala della Cantata: “Una delle caratteristiche di Napoli che da sempre stupiscono i viaggiatori stranieri è la continua sovrapposizione di antico e moderno, di religione e superstizione, di colto e popolare, estremi contrasti e contraddizioni che la rendono una città misteriosa ed unica. Ovunque i quattro elementi ancestrali si fondono nei rituali arcaici della città, che si è sviluppata sempre sovrapponendo architetture e civiltà dei diversi dominatori stranieri, senza mai cancellare il passato: l’aria dolce percorsa dal canto, l’acqua del mare e delle fontane barocche, la terra che trema per continui terremoti e movimenti interni, il fuoco distruttivo del vulcano addormentato ma mai spento. È proprio dal fuoco che ha origine uno dei suoi misteri più popolari e discussi, ossia il miracolo del sangue di San Gennaro. La sua storia, narrata per esempio dallo scrittore del Seicento Carlo Celano, si riferisce infatti al vescovo di Benevento che nel 305, durante le persecuzioni di Diocleziano, fu inutilmente rinchiuso in una fornace ardente ed uscì illeso dal fuoco, morendo solo per il taglio della sua testa con la spada. Il suo sangue sarebbe stato raccolto prontamente da una pia donna napoletana che ne versò poi una parte in due ampolle di vetro che furono consegnate oltre ottanta anni dopo al nuovo vescovo Severo. In realtà la prima documentata notizia del miracolo durante la processione registrata nelle cronache di Napoli è di molti anni più tardi, il 13 agosto 1365. Da allora il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro nelle antiche ampolle si è quasi sempre ripetuto davanti all’intera popolazione di Napoli in festa, nelle tre feste dedicate al santo durante l’anno liturgico, a dicembre, maggio e settembre. La devozione dei napoletani per San Gennaro è legata da sempre a calamità e disastri. Dopo una epidemia terribile nel 1527, gli abitanti di Napoli decisero di edificare una speciale cappella dedicata a San Gennaro nel Duomo della città, i cui lavori iniziarono però solo nel 1608, e si conclusero quasi quarant’anni più tardi. Nel frattempo vi era stata una nuova peste, nel 1630, e soprattutto l’eruzione del Vesuvio nel 1631, l’evento che elevò definitivamente Gennaro al rango di protettore ufficiale della città, anche se la città aveva allora già altri 20 santi patroni. La cappella detta del Tesoro di San Gennaro, arricchita con affreschi di grandi pittori come Lanfranco e Domenichino, fu inaugurata nel 1646, lo stesso anno in cui fu creata la sua cappella musicale. Questa cappella partecipava alle tre feste annuali di San Gennaro, che si svolgevano all’aperto con luminarie e grandi apparati fino al pieno Ottocento. Come spiega nel suo saggio in questo volume Paologiovanni Maione, da allora per due secoli ciascuna delle feste divenne occasione di musiche commissionate ai maggiori compositori del momento, con un enorme seguito popolare. Nei testi delle Cantate che venivano intonati in quelle occasioni figurava spesso accanto a Gennaro la Sirena Partenope, simbolo della stessa Città. In questa tradizione festiva in onore di San Gennaro si inserisce la Cantata, a quattro Voci, con Cori e vari strumenti obligati, da cantarsi nel nobile Sedile di Porto in occasione della Translazione del Sangue del Glorioso San Gennaro nell’anno 1788, composta da Gaetano Manna, nipote del più famoso Gennaro Manna, entrambi tra i protagonisti dell’età aurea della “scuola musicale” napoletana del pieno Settecento. Le vicende del manoscritto unico di questa composizione sono raccontate da Ivano Caiazza, artefice della edizione moderna in accordo con il direttore José Luis Basso, particolarmente interessato a questo repertorio. Il Teatro di San Carlo intende con questa iniziativa rinnovare quell’antica tradizione proponendo ogni anno, in coincidenza con la festa di San Gennaro del 19 settembre, l’esecuzione di una Cantata recuperata dall’enorme repertorio superstite delle biblioteche di Napoli o dei fondi napoletani che la storia ha trasferito altrove, come nel caso del manoscritto di Manna custodito a Montecassino. Il prossimo appuntamento sarà infatti nel settembre 2022 con la Cantata per San Gennaro del 1775 di Pasquale Cafaro, altro grande rappresentante della musica napoletana. A quel patrimonio musicale che parte dal primo barocco e percorre pienamente tre secoli con centinaia di capolavori ancora da riscoprire, José Luis Basso e l’intero settore della Produzione Artistica del Teatro di San Carlo intendono puntare anche in altri momenti della programmazione annuale ed altri luoghi simbolici della Città, coinvolgendo anche la neonata Accademia di Canto. Come indica l’acronimo del Museo del San Carlo, il MeMus, dalla memoria della grande tradizione musicale del passato devono venire gli stimoli per guardare alla contemporaneità e al futuro”.