“Nell’impero delle misure”, il manifesto letterario della poetessa russa Marina Cvetaeva

Modena. All’interno del percorso “Le Passioni allo Storchi” – cinque allestimenti che disegnano un tracciato, un filo rosso dedicato al Teatro delle Passioni – si inserisce il debutto di “Nell’impero delle misure”, in scena nel Ridotto del Teatro Storchi di Modena dal 29 novembre all’11 dicembre (martedì, mercoledì e sabato ore 21.00, giovedì e venerdì 19.00, domenica 18.00). Lo spettacolo, di e con Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi, è prodotto da Ateliersi ed Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale. La sconfinata personalità della poetessa dissente russa Marina Cvetaeva viene esplorata in una composizione scenica che invita ad approfondire l’esperienza di ascolto delle sue poesie e scritti in prosa, per arrivare a un’intima connessione con le sue parole. Nata nel 1892 a Mosca, Marina Cvetaeva è figlia di un autorevole filologo e di una talentuosa pianista e del fondatore del Museo di Belle Arti di Mosca (filologo raffinato, a cui anche l’Università di Bologna conferisce una laurea honoris causa). Ha ricevuto una raffinata educazione e ha iniziato prestissimo a comporre versi, come lei stessa ammette: «Ai miei versi scritti così presto, che nemmeno sapevo d’esser poeta, scaturiti come zampilli di fontana, come scintille dai razzi». Giovanissima, all’età di 19 anni, sposa uno studente di filosofia, Sergej Efron, da cui non si è mai separata e che allo scoppio della rivoluzione si arruola nell’Armata Bianca. Per anni resta bloccata a Mosca in condizioni disumane (come racconta in “Indizi Terrestri”), senza notizie del marito, sola e con due figlie, Alja e Irina, che non riesce a mantenere. È costretta ad affidare la più piccola, Irina, a un orfanotrofio dove muore qualche mese dopo di stenti. Nel 1922 Marina e la figlia Alja raggiungono a Praga Sergej, che sanno finalmente vivo, e successivamente si trasferiscono a Parigi. Nel 1939 torna in Unione Sovietica ma viene osteggiata dalle autorità. Senza più notizie di Sergei e Alja – entrambi rinchiusi nelle prigioni staliniane – e in preda a una forte crisi depressiva, due anni dopo, nel 1941, muore suicida. La sua poesia è fra le più originali del Novecento russo, il suo verso è secco e nervoso, le sue trame fonetiche sono ruvide. A questa cifra stilistica corrisponde, sul piano tematico, un’enfasi che converte i momenti della quotidianità in momenti di esasperata drammaticità, ricercando nei miti femminili della storia russa ideali alter ego della sua dirompente e passionale personalità. Il nucleo drammaturgico dello spettacolo scompone la molteplicità di figure e personalità che incarnano le diverse tensioni di Cvetaeva, con l’obiettivo e il desiderio di condividere con il pubblico progressivi avvicinamenti alla sua irriducibile essenza. In scena appare così la Marina adolescente, interpretata da Margherita Kay Boudillon, che prima della rivoluzione d’ottobre inizia a esplorare gli abissi che si aprono nella sua anima in formazione. Accanto a lei la Marina al pianoforte di Francesca Lico: una figura incardinata nel rapporto con la madre pianista che l’ha iniziata alla relazione con la musica provocando solitudini, dolori acuti e scoprendo insieme la gioia della concentrazione e della creazione. Ma è anche la figlia di Ariadna a emergere attraverso la Marina musicista, in un rapporto madre/figlia che si ribalta continuamente disegnando capriole di reciproche attenzioni e richieste, concessioni amorose e imperiose aspettative. Alla cantautrice Angela Baraldi è affidato il compito di portare in scena l’impeto amoroso: una voce profonda che nasce dall’intensità degli incontri, dalle conseguenze delle scelte, dai viaggi attraverso i confini, quando in fuga e quando in caccia. La poesia è la dimensione in cui si sviluppa la presenza scenica di Fiorenza Menni, attraverso i versi che per tutta la vita sono stati l’urgenza prima di Cvetaeva. In dialogo con le molte, diverse “Marine”, Andrea Mochi Sismondi attraversa la prospettiva biografica facendo sua la voce di un universo che osserva, punto di incontro del prima e del dopo, espressione della necessità e degli inciampi della ricerca. Come in tutte le opere di Ateliersi, protagonista è la dimensione musicale, concepita insieme a Vincenzo Scorza a partire dalle opere pianistiche amate dalla giovane Marina, per arrivare alla composizione elettronica e al canto.

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