Roma. Ci sono passioni che scavano dentro, alimentandosi sin dalla giovinezza, indicando una strada talvolta complessa da percorrere ma ricca di soddisfazioni quando ci si accorge che intraprenderla era il proprio destino. Si rispecchia in queste parole la storia di Yari Gugliucci, artista di origini salernitane – di cui lui, a ragione, va alquanto fiero – che ha mosso i primi passi come attore proprio nella città che gli ha dato i natali. Yari debutta a soli 13 anni al teatro San Genesio, nel cuore del centro storico del capoluogo campano, e, nonostante la duplice laurea in sociologia e filosofia, comprende ben presto che è il palcoscenico il suo habitat naturale. Negli anni Novanta esordisce al cinema ma il primo ruolo di un certo peso arriva nel 2003 quando il regista Maurizio Fiume lo vuole per interpretare Giancarlo Siani, il giornalista partenopeo barbaramente ucciso dalla camorra nel 1985.
Dopo l’incontro straordinario con Lina Wetmuller per “Ferdinando e Carolina” la carriera di Yari continua la sua ascesa: l’attore recita in numerose fiction di successo, come “Cuore contro cuore” e “Sirene”, che gli danno modo di confrontarsi con i personaggi più disparati anche se il teatro resta il suo “primo amore” e il richiamo diventa sempre più incisivo quando il regista polacco Rebinsky lo sceglie per il riadattamento de “La tempesta” di Shakespeare, accanto a Michelle Pfeiffer e Kevin Kline.
Queste sono solo alcune delle collaborazioni prestigiose, italiane e straniere, che hanno visto Yari protagonista, moltissime altre ci sono state raccontate direttamente da lui. Lo abbiamo raggiunto per un’intervista e lui è stato ben felice di parlarci non soltanto dei suoi successi professionali ma anche delle altre numerose passioni che animano il suo cuore, come la scrittura: l’artista ha all’attivo ben due romanzi e ci ha anticipato di avere già in cantiere una nuova storia che si discosterà parecchio dalle precedenti.
Ma vi abbiamo svelato già troppo, il resto lo scoprirete leggendo direttamente le parole di Yari che, di recente, ha ricevuto un’altra splendida notizia, è infatti candidato ai David di Donatello come Miglior Attore non protagonista.
La tua carriera artistica non tocca solo il suolo italiano, anzi, puoi vantare collaborazioni anche con gli Stati Uniti; sappiamo che la scorsa primavera la Spagna ti ha insignito di un prestigioso riconoscimento per la tua interpretazione in inglese del “Coriolanus di Shakespeare. Raccontaci, quali analogie e quali differenze hai riscontrato tra i set italiani e quelli stranieri?
Se parliamo di tv e cinema, essendo prodotti commerciali, più sono grandi le produzioni (per via anche della loro lingua più esportabile, inglese e spagnolo) più il lavoro è semplificato dal budget a disposizione. Ma per quanto riguarda gli artigiani come i costumisti, gli scenografi, gli operatori, i macchinisti e anche noi attori, in Italia siamo, per alcuni versi, i migliori. Un lavoro tramandato dalla nostra cultura di generazione in generazione. Mi irrita molto quando mi dicono che sembro un attore “straniero” per il modo di fare, anche se pensano di farmi un complimento.
Il 2020 è stato un anno durissimo per tutti, soprattutto per i lavoratori del mondo dello spettacolo, e purtroppo la pandemia continua a vessare il comparto della cultura. Come hai affrontato questo periodo di stasi forzata?
In maniera produttiva. Io sono sempre stato un artista multitasking, abituato ad affrontare lunghe attese e periodi di stasi lavorativa, quindi scrivo, suono, insegno, mi preparo. Quando non lavoro in Italia me ne volo in America e quando non lavoro in America me ne vado a scrivere in riva al mare, a Salerno. Con questo lockdown ho preso finalmente il tempo per rileggere vecchi libri, consultarmi con colleghi di tutto il mondo e dedicarmi un po’alla mia famiglia, anche con la complicità di un vecchio diario di ricette.
Sarai uno dei 25 componenti della giuria del Festival di Cannes, una notizia giunta pochissimi giorni fa. Quali sono state le tue reazioni a caldo?
Questa notizia appartiene a quella misteriosa ruota che per noi attori gira senza senso apparente e poi, però, si ferma sul tuo numero, ricordandoti che eri sulla strada giusta. Il premio prestigioso del teatro in Spagna, l’Oscar ritirato con Lina Wertmuller, il premio a Venezia, fanno parte di un lungo percorso che mi motiva in quei momenti in cui la vita sembra averti dimenticato per un attimo. A noi attori quella sensazione può capitare spesso.
Sei anche candidato alle prossime elezioni come componente dell’assemblea dei delegati del Nuovo IMAIE: quali sono gli obiettivi che ti poni qualora il tuo nome fosse tra i prescelti?
Sono onoratissimo di questa nomina ed ho sempre seguito con attenzione il Nuovo IMAIE che trova in questo gruppo di artisti compattezza e determinazione.
All’estero, infatti, sia in America che in Spagna, il loro IMAIE è davvero qualcosa di incredibile, che tutela gli attori, li protegge, li segue e dà loro un sostegno concreto!
Ecco, io avrei intenzione di contribuire a questa legittima rivoluzione, una serietà che la nostra categoria deve farsi riconoscere. Un Paese che non protegge i propri artisti è destinato ad estinguersi.
Sappiamo che ti sei già cimentato nel ruolo di scrittore e che hai al tuo attivo ben due romanzi. Hai in programma una nuova pubblicazione a breve?
Sì, qualcosa di totalmente diverso dai due “Billy Sacramento” anche se il tema generazionale rimane ma stavolta è più didattico. È scomparso da poco Lawrence Ferlinghetti che, dopo aver letto il mio libro, disse che “le frasi che pronunciava il personaggio di Sacramento erano come tatuaggi che restavano addosso”. In questo caso sarà invece un manuale per gli attori molto divertente, soprattutto sincero, in base alla mia esperienza sulla preparazione degli attori americani a confronto con la nostra.
Le tue esperienze spaziano dal teatro alla tv e nel corso della tua carriera hai lavorato con registi come Lina Wertmuller e Woody Allen; inoltre, a breve, ti vedremo nella nuova stagione de “I bastardi di Pizzofalcone”. Allora ci viene spontaneo chiederti: Yari preferisce il piccolo schermo o l’emozione del palcoscenico?
Yari preferirebbe raccontare storie interessanti e ben dirette. Il teatro è stato il mio primo amore, la tv la consacrazione di un ambizione, ma a teatro, oggi, visti i risultati, riesco a dire la mia. E non è affatto poco.