Milano. Omar Pedrini, cantautore e chitarrista nato a Brescia nel 1967, noto al grande pubblico per essere leader dei Timoria, nonché autore dei testi e delle musiche della band, ci ha rilasciato una generosa intervista.
Maestro come si è avvicinato alla musica?
Sono stato in contatto con il mondo della musica fin da bambino. Sono nato in una famiglia operaia: il mio bisnonno, fuori dall’orario di lavoro, faceva il liutaio, costruiva chitarre e mandolini per i figli e, peraltro, suonava anche il clarinetto. Mia nonna, infatti, suonava la chitarra e mia mamma era una cantante. Certo, soltanto io in famiglia ho trasformato la musica in professione. Ho iniziato con la chitarra classica per poi passare agli studi jazzistici al liceo, fino a fondare i Timoria.
“Con la musica non sarai mai solo” è una frase che mi è stata ripetuta spesso dalla mia famiglia e sto provando a trasmettere lo stesso concetto ai miei figli.
Lei conosce il panorama musicale italiano da circa trent’anni: ecco, com’è cambiata la musica italiana ed il mercato musicale nel tempo?
A mio avviso, negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad un cambiamento radicale. Personalmente, provengo dal mondo delle art rock band: oggigiorno, le nuove generazioni non conoscono gli album o le copertine. Siamo passati ad un metodo liquido di fruizione della musica. Il pubblico giovane tendenzialmente crea delle proprie playlist ed ascolta in modo maniacale un singolo.
Naturalmente questo fenomeno ha delle conseguenze anche su chi fa musica perché lo streaming adesso segna in modo decisivo l’assegnazione dei dischi d’oro. Quando con i Timoria abbiamo vinto il disco d’oro fu un evento nazionale: all’epoca, per vincerlo occorreva vendere 50.000 copie. Ciò significa che ci furono cinquantamila persone che comprarono il nostro album. È intuitivo che l’ascolto in streaming non abbia lo stesso peso dell’acquisto di un cd, anche se per la FIMI lo stream è calcolato come un disco venduto.
Poi il pubblico è bombardato da continue uscite di nuovi brani o di nuovi album: è un flusso di musica costante impossibile da seguire per l’ascoltatore. Ecco perché noi artisti dobbiamo adeguarci ed aggiornarci: ad esempio, per essere competitivi, si potrebbero lanciare tanti singoli in luogo di un unico album, forma alla quale evidentemente sono più legato. Una soluzione del genere potrebbe essere un buon compromesso tra le esigenze del mercato attuale ed il vecchio modo di fare ricerca.
Dall’altro lato, comunque, posso dire che in questi ultimi tempi è rinato il vinile: c’è una nicchia, neanche piccola, di appassionati che è tornata ad ascoltare e dunque ad acquistare vinili. Si tratta di un pubblico che paragonerei ai sommelier appassionati del buon vecchio vino. Il digitale ha dei limiti che sono sempre più evidenti e credo che anche le audiocassette presto saranno nuovamente utilizzate.
La nostra rivista s’inserisce nel più ampio progetto della Società Italiana Esperti di Diritto delle Arti e dello Spettacolo (SIEDAS). Pertanto, considerando anche quanto ci ha appena raccontato, cosa pensa dello stato attuale della tutela degli artisti?
In verità, lamento da anni la mancanza in Italia di un sindacato dei cantanti o comunque dei musicisti. Secondo me, la recente esperienza del lockdown ha dimostrato quanto poco il settore sia preso in considerazione.
Per fare un esempio concreto, voglio precisare che dal 24 dicembre scorso sono stati bloccati tutti i miei concerti: la musica nei club è stata fermata. In aggiunta a questo, anche i concerti dal vivo all’aperto sono stati tutti annullati. Mi sembra che il nostro sia tra i settori più colpiti e questa volta non ho ancora sentito parlare di ristori che, per quanto piccoli, negli ultimi tempi hanno comunque permesso ai lavoratori dello spettacolo di provvedere alle necessità quotidiane. Personalmente lavoro con la musica: ho una famiglia da mantenere ed uno staff composto da dieci persone che, naturalmente, a loro volta hanno delle famiglie. Credo che la situazione sia vergognosa. In fin dei conti, siamo una categoria composta da circa 530.000 persone: non è certo un settore piccolo.
Tornando a parlare della sua carriera, lei è un artista poliedrico: cantautore, musicista, autore di libri e ha lavorato sia in radio che in televisione. Come è riuscito a confrontarsi con così tanti contesti artistici diversi?
In effetti, la contaminazione è sempre stata la mia cifra stilistica e ho provato a farmene portatore anche nella mia attività d’insegnamento all’Università. Con i Timoria, ad esempio, il primo album è stato “Colori che esplodono”.
Dal 1998 al 2006 sono stato direttore artistico del Brescia Music Arts Festival, un’iniziativa che intrecciava la musica con altre forme artistiche. Già nel 1999, inoltre, sono stato conduttore per Match Music del programma “Territorio Italiano”.
Poi, dal 2004, dopo l’intervento al cuore, non ho potuto più cantare. Così ho iniziato a lavorare in radio; ho vinto anche le cuffie d’oro come miglior programma radiofonico d’esordio. In televisione ho scritto e condotto diversi programmi per Rai 2 e per Rai 5 con un primo format intitolato “Rock e i suoi fratelli”; sono poi passato a Sky Arte quando Rai 5 ha puntato sulla musica classica.
Ho sempre pensato che sia importante occuparsi del modo in cui si comunica l’arte: ecco, la mia esperienza si basa esattamente su quest’idea.
Dopo una nuova operazione chirurgica, nel 2014, ho potuto nuovamente cantare e sono tornato a fare il musicista sul palco. Scrivo ancora colonne sonore ogni tanto, comunque.
Per l’attività di scrittore collaboro da diversi anni con Federico Scarioni: nel 2017, è uscita la mia biografia “Cane sciolto” e stiamo già lavorando ad un nuovo libro insieme. Presto uscirà anche un testo enogastronomico: devo dire che sono un grande appassionato di vino, tant’è vero che in passato ho collaborato con il Gambero Rosso al programma “Gamberock”.
Per concludere, quali sono i suoi progetti per il futuro?
Onestamente, vivo in attesa che riparta la musica live. Vorrei tornare a fare il mio lavoro di musicista davanti ad un pubblico dal vivo. Credo che adesso si possa guardare con fiducia alla futura attività concertistica. Purtroppo, nel nostro Paese la musica pop non ha l’adeguato riconoscimento culturale.
Salutiamo Omar Pedrini e lo ringraziamo per il ricco racconto della sua esperienza.
Crediti foto Davide Samperi.