Napoli. Il Teatro Bellini chiude la propria stagione invernale con “ONE SONG Historie(s) du théâtre IV”, la prima il 28 maggio con repliche fino al 02 giugno.
Spettacolo coinvolgente della concertista Miet Warlop, anche regista e scenografa, concepito per esorcizzare la scomparsa prematura del fratello, attraverso un rituale collettivo di musica, danza e tanto, tanto movimento, scandito da un metronomo – il tempo e il ritmo – che è il premio più ambito dai protagonisti (i bravi musicisti e performer Simon Beeckaert, Elisabeth Klinck, Willwm Lenaerts, Milan Schudel, Melvin Slabbinck, Joppe Tanghe, Wietse Tanghe).
Questi, dopo un breve riscaldamento, entrano in campo, ciascuno nel proprio ruolo, e mentre suonano il proprio strumento partecipano a una gara collettiva, con tanto di tifosi sugli spalti (Max Colonne, Marius Lefever, Lucia Plasschaert, Flora Van Canneyt) che li incoraggiano e li supportano cantando e ballando.
Su tutti supervisiona la commentatrice – la più anziana del gruppo – l’unica priva di numero sulle spalle, con indosso una tuta arancione che ricorda quella dei detenuti americani, ma se da una parte le consente di essere facilmente riconoscibile, dall’altra le limita i movimenti.
La donna parla attraverso un megafono gracchiante, da cui fuoriescono solo poche parole chiare, il resto è incomprensibile. Ella interviene solo quando nessuno dei musicisti e neppure la cheerleader è in grado di far ripartire il metronomo fermato più volte dal contrabbassista.
Questo che a una lettura superficiale potrebbe sembrare solo uno “spettacolo rumoroso, assurdo e incredibilmente divertente” è in realtà un rituale attraverso il quale l’autrice del concept vuole esorcizzare il dolore e la morte, come epilogo triste dell’incapacità di affrontare e accettare il primo.
E una volta riconosciuto e accettato che il malessere è collettivo, è inutile piegarsi su se stessi, è necessario invece agire, mettersi in movimento, fino a cadere stremati dalla fatica, senza pensare mai di interrompere il tempo che ci è stato dato.
La forza la si trova nel gruppo, in cui ognuno continua ad assolvere al proprio ruolo, pronto a supportare l’altro e anche ad intervenire quando è necessario, assumendo anche il ruolo dell’altro, perché tutti facciamo parte della stessa squadra.
Ed ecco allora il perché della canzone ripetuta fino allo sfinimento: “corri per metterti in salvo/fino alla morte/fino alla morte/fino alla morte di tutti noi/toc, toc/chi è?/ È il tuo dolore antico/impossibile/come un tempo/sai/il dolore è come un sasso/nella testa/è duro/è ruvido/è lì, sempre/ è salato/lo sento nella goccia/che mi rotola lungo il naso/il dolore è come un masso/e da sempre/riscaldo quel sasso/sposto quel masso/lo sento nella goccia/che mi rotola lungo il naso/il dolore è come un masso/nella testa/è duro/è ruvido/muta forma/si addolcisce…”
Ed ecco poi la risposta dell’autrice alla domanda del regista Milo Rau su quale sia la funzione del teatro: “un luogo in cui si può raccontare l’esperienza del dolore, di un’emozione individuale molto difficile da comunicare, per renderla collettiva, e dove la musica assume un ruolo centrale nell’esorcizzare la morte”. Si cerca così di condividere qualcosa che non è condivisibile, come il dolore, la morte, l’esistenza, un canto, un ricordo.
Chiaro è l’influsso di Rau, anche nell’uso in scena della pioggia, degli oggetti pesanti, come la trave da ginnasta e la spalliera svedese, e nel volere rendere il pubblico partecipe della realtà della messa in scena, anche ad esempio del buio e del silenzio conseguente a due voluti blackout, perché si vuole che quello che accade sullo spazio scenico in tempo reale sia completamente visibile e questo richiede dei protagonisti completi, perché pronti a tutto. È riduttivo, infatti, definirli solo musicisti.
Questa coproduzione è composta da NTGent, Miet Waelop/Irene Wool vzw e dal Festival d’Avignon, DE SINGEL(Anversa), Tandem Scene Natinal (Arras-Douai), Théâtre Dijon Bourgogne – Centre dramatique national (Dijon), HAU Hebbel am Ufer (Berlino), La Comédie de Valence – Centre dramatique national Drôme – Ardèche (Valenza), Teatre Lliure (Barcellona), con il supporto del Governo delle Fiandre e della Città di Ghent), è sicuramente uno degli spettacoli più belli tra quelli proposti dal Teatro Bellini nel corso di questa stagione, perché come dice Rau c’é “la vittoria dell’umanità” che, nonostante la sua fragilità, trova la forza per resistere e per continuare a vivere, pur non dimenticando che quel dolore non ci abbandonerà mai: il dolore diventa un acino d’uva/nel preciso istante/in cui gli altri tacciono/l’acino esplode/eppure il dolore resta un frutto/ci basta/che trovi una strada/scorrendo lungo i muri/il dolore non se ne va…”.
Crediti foto: Karin Jonkers.