Roma. Al Teatro Vascello va in scena da oggi 29 settembre fino al’8 ottobre “Pagliacci”, dal libretto dell’opera di Ruggero Leoncavallo, con debutto a Milano nel 1892 e “All’uscita”, l’atto unico che Pirandello definisce “mistero profano”, andato in scena a Roma per la prima volta nel 1922. “Sono due testi molto diversi per stile e contenuto, ma capaci di una comune sensazione che li rende profondamente accostabili: il primo è immerso nel Verismo di fine ‘800, nella trama spietata del delitto d’onore e d’amore, il secondo è una parabola metafisica, quasi filosofica. Sembrano, per struttura e doti, collocabili da una parte all’altra di un ponte ideale, fondamentale per la letteratura teatrale, che a cavallo dei due secoli riesce a trasformare i percorsi sintattici in prospettive drammaturgiche; uno accanto all’altro creano un terzo materiale, indipendente, per evocazione e compromissione: il sipario metateatrale che Pirandello aprirà sul nuovo secolo viene scucito da Leoncavallo nel suo “Pagliacci”. Insieme sono una dichiarazione d’indipendenza tra il Verismo e il teatro borghese. Il Teatro nuovo è all’indomani di una giornata di sole e coltello e di un notturno di cimitero e ombre. All’uscita da “Pagliacci” è il vero appuntamento. (O da dove abbiamo mosso il nostro mare). Quanto le scritture sceniche semineranno e raccoglieranno da lì in poi, nei nuovi cicli del Teatro, dei Teatri, sarà ciò che ci porterà nelle traiettorie del contemporaneo e in quel concetto di drammaturgia che oggi vanta una prossimità col linguaggio, più della regia stessa, o dell’occhio esterno, come indicato in tanti casi. La drammaturgia, allora, l’occhio interno, è quanto effettivamente in esplorazione, in esplosione. Lo abbiamo imparato sezionando il concetto, la funzione, le sfumature e le possibilità. Abbiamo moltiplicato l’occasione e l’abbiamo sollecitata, in lungo e in largo. Abbiamo ammesso i concetti di drammaturgia del testo, del suono, della scena. Abbiamo riscritto le parole originali e riscritto anche le riscritture. Ci siamo dotati di nuovi strumenti per cercare di definire l’indefinito e lo abbiamo fatto portandoci in proscenio, dove finisce il palco e comincia il Teatro. Nella frequentazione del confine, la prassi è il centro e la sua periferia. Vorremmo comprometterci, letteralmente, oltre le barriere di genere che abbiamo costruito o contribuito a creare, per necessità o politica, ridefinendo il punto di vista, attraverso il punto dello sguardo. Fluidamente”.