Napoli. È una satira feroce che mette in luce la complessità e l’intrinseca contraddittorietà dello sguardo occidentale sul continente africano lo spettacolo “Peggy Pickit guarda il volto di Dio” di Roland Schimmelpfennig, che, dopo l’anteprima nell’ambito della XXI edizione della rassegna “Primavera dei Teatri”, debutterà da domani, giovedì 7 aprile alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 10), al Teatro Nuovo di Napoli, con Valentina Acca, Valentina Curatoli, Emanuele Valenti, Aldo Ottobrino, per la regia di Marcello Cotugno. Presentato da TAN – Teatri Associati Napoli con il contributo del Goëthe Institut Napoli, l’allestimento è la prima parte del progetto “Una Trilogia Tedesca” a cura di Marcello Cotugno, Valentina Acca, Valentina Curatoli, e si avvale delle scene a cura di Sara Palmieri, i costumi di Ilaria Barbato, la colonna sonora e le luci di Marcello Cotugno. Karen e Martin tornano a casa dopo aver trascorso sei anni lavorando nello staff di un’organizzazione come Medici senza frontiere in un paese africano non ben definito. Al loro ritorno, vengono invitati a cena dai loro vecchi amici Liz e Frank. Le due coppie si erano incontrate alla facoltà di medicina, ma da lì in poi le loro vite avevano preso percorsi estremamente differenti. Karen e Martin hanno scelto di prestare assistenza medica in luoghi di estrema povertà, mentre Liz e Frank hanno invece esercitato la loro professione inseguendo obiettivi più tradizionali: la carriera, il guadagno, la costruzione di una famiglia. A legarli in questa lunga distanza, la presenza di una bambina, Annie, che Liz e Frank hanno adottato a distanza, e di cui Martin e Karen si sono presi cura durante la loro permanenza in Africa. Durante la cena l’alcool inizia a scorrere, facendo emergere incomprensioni e gelosie reciproche tra le due coppie. Protagoniste inerti dell’azione diventano inaspettatamente due bambole: Peggy Pickit (che dà nome all’opera), è un costoso giocattolo di fabbricazione occidentale, l’altra è una semplice bambola artigianale di legno. Diventano il simbolo dell’enorme divario tra il capitalismo avanzato del mondo occidentale e la povertà dei paesi in via di sviluppo. Attraverso i toni a volte ironici, a volte dolorosi di questa commedia amara, il conflitto che anima azioni e relazioni in scena diventa, dunque, metafora di un’inquietudine esistenziale tipica del contemporaneo. “Schimmelpfenning” riesce a superare il cliché della commedia su quattro vecchi amici che si ubriacano a cena e straparlano, attraverso l’uso dello straniamento brechtiano. Durante l’azione, i protagonisti spesso si rivolgono al pubblico per esprimere il loro punto di vista, mentre tutto ciò che li circonda rimane sospeso, congelato.