Napoli. Il 29 ottobre il Teatro San Ferdinando ha inaugurato la nuova stagione teatrale con “Re Chicchinella”, in scena fino al 10 novembre.
È una fiaba moderna scritta e diretta da Emma Dante, tratta da “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile, che segna il completamento dello studio della regista intorno all’autore campano, l’hanno preceduta infatti “La Scortecata” e “Pupo di zucchero”.
La vicenda è quella surreale narrata da Basile, ossia re Carlo D’Angiò che depone uova d’oro perché nel suo corpo è entrata una gallina usata dal sovrano per pulirsi, durante una battuta di caccia, nella convinzione che fosse morta.
E nel tentativo di liberarsene, decide di astenersi dal cibo per far morire di fame il volatile. La consorte e la figlia son contrarie a questa scelta perché interessate solo all’oro che l’uomo è in grado di covare, incuranti della sua sofferenza.
L’obiettivo della Dante – ben riuscito – è quello di rappresentare l’animo umano attraverso il ricorso al gioco, mediante l’utilizzo di un linguaggio che ricorda la poesia barocca, riprendendo il testo originale senza l’interesse però al recupero filologico del dialetto, ma solo per la sua forte strutturazione simbolica per poi sporcarlo con l’italiano così da creare un cortocircuito.
Alle parole sono affiancati i rumori, i suoni, le espressioni straniere, dando vita così a una lingua teatrale nuova, personale, in grado di mantenere incalzante, vivo e divertente il ritmo della narrazione.
Quest’ultimo è ancora una volta centrale del teatro di Emma Dante che utilizza non solo i dialoghi, ma anche la musica, le canzoni, i gesti ripetitivi – amplificati da ben 11 ballerini/attori in scena, nella parte delle dame di corte e dei paggi, del dottore e delle infermiere – e ripete più volte la stessa frase o gesto.
Bravi Davide e Simone Mazzella, Stephanie Taillandier, Viola Carinci, Davide Celona, Roberto Galbo, Enrico Lodovisi, Yanick Lomboto. Samuel Salamone. Marta Zollet e Odette Lodovisi nella parte della gallina.
I loro corpi sono volutamente con fianchi allargati da calzamaglie con culotte in pizzo e cuffie da cabaret anni ’50, per annullare quasi la differenza di genere, dove le interpretazioni più femminili sono realizzate proprio dai ballerini/attori.
Molto bravo Carmine Maringola nella parte del Re Carlo III d’Angiò, re di Sicilia e di Napoli, principe di Giugliano, conte d’Orleans, visconte d’Avignon e di Forcalquier, principe di Portici Bellavista, re d’Albania, principe di Valenzia e re titolare di Costantinopoli.
Egli è un re metaforicamente nudo, coperto inizialmente da una bella gonna steccata, a ruota, di piume nere a nascondere la gallina infilatasi nell’ano, che vive e si nutre dentro di lui, per poi diventare realmente nudo in scena, in maniera mai volgare, dimostrando di possedere quello che la regista ha sempre cercato nei propri attori: “la perdita totale della vergogna e di qualsiasi tipologia di giudizio e autogiudizio, la capacità di sentirsi libero da un retroterra culturale che lo limiterebbe nella sua espressione artistica”.
Maringola fa uso del proprio corpo in scena, dialogandoci egli stesso e mettendolo in relazione col pubblico per comunicare in maniera diretta, attraverso le immagini, il susseguirsi delle emozioni da cui è attraversato.
Annamaria Palomba nei panni della Regina e Angelica Bifano in quelli della Principessa sono state all’altezza di Maringola, perché il pericolo era quello di farsi oscurare dalla sua personalità, invece sono riuscite a mantenere i propri spazi e tempi, senza farsi travolgere dal suo personaggio.
Considerando il successo riscosso, era necessario brindare all’inizio di questa stagione scegliendo di iniziarla proprio con questa produzione del Tetro di Napoli, il Teatro Nazionale, il Piccolo Teatro di Milano, il Teatro d’Europa, l’Atto Unico/Compagnia Sud Costa Occidentale, il Teatro Sta-bile del Veneto. il Teatro Nazionale, Carnezzeria, Célestins Théatre de Lyon, Châteauvallon-Librté Scene Nationale, Cité du Théatre, Domaine d’O. Montpellier/Printemps des Comédies.
Crediti foto: Masiar Pasquali.