Roma. Il doppiaggio ha sempre rappresentato un valore aggiunto nella carriera di un artista. Esso è solo una parte del percorso formativo di un attore. L’Italia ha sempre avuto una lunga tradizione rappresentata in modo illustre da artisti con la A maiuscola. Questa disciplina, nel tempo, è stata tramandata di generazione in generazione riuscendo a mantenere quella familiarità che solo gli attori del teatro riescono a trasmettere. Un artista che ha conciliato due discipline come il doppiaggio e il teatro è senza dubbio Patrizio Cigliano. Nato a Roma 23 dicembre 1969, è attore, drammaturgo, regista teatrale, doppiatore e direttore del doppiaggio italiano. È fratello del doppiatore, direttore del doppiaggio, dialoghista e conduttore radiofonico Alessio Cigliano ed è nipote del cantante Fausto Cigliano. Anche lui, insieme agli altri colleghi della lista “La squadra per l’audiovisivo” con capolista Ermanno Ribaudo, ha deciso di candidarsi alle elezioni del nuovo IMAIE per mettersi al servizio dei lavoratori dello spettacolo.
Patrizio, qual è stato il momento significativo in cui ha capito che questa sarebbe stata la sua strada nel mondo dello spettacolo?
Certamente quando sono stato ammesso all’Accademia Silvio d’Amico (1989). Ma ancora di più quando ne sono uscito: avevo appena vinto il Premio Idi (Istituto del dramma italiano), il più importante premio per la drammaturgia, con la mia opera prima “ALASKA” ed ho ottenuto subito una grande produzione per l’allestimento con quattro mesi di tournée di grande successo. Lì ho cominciato a farmi notare sia come attore che come autore che regista.
Il suo lavoro ha preso due percorsi molto significativi, il doppiaggio e il teatro. Si sente più doppiatore o attore? Qual è il doppiaggio e qual è l’interpretazione teatrale al quale è molto legato e perché?
Mi sento “attore” e considero il doppiaggio una specializzazione dell’essere attore. Doppiaggio e teatro sono strettamente correlati, perché devono raggiungere le emozioni anche attraverso la tecnica. Nel doppiaggio ho fatto sempre ruoli molto interessanti, sia nel comico che nel drammatico. La Serie americana “the O.C. – Orange County” con il ruolo protagonista di Seth Cohen (Adam Brody) mi ha dato molte varietà di interpretazione, perché è durata sei anni. In teatro, certamente il mio Malcom nel “Macbeth” di Lavia è stata una bella prova d’attore. Ma anche il mio “Amleto”, da me diretto, è stato molto gratificante. Ma anche, in tutt’altro genere, il mio Mandrake nel musical “Febbre di cavallo” per il Sistina ha significato molto.
Nel corso della sua carriera ha avuto l’onore di lavorare con nomi illustri. Chi l’ha impressionata di più? Si ricorda qualche aneddoto in merito?
I Maestri che ho incontrato mi hanno tutti permesso di crescere molto velocemente e con grande qualità. Di Zeffirelli ho amato la straordinaria cultura e la visione “pop” dello spettacolo. Sepe mi ha aperto la testa alla musicalità della recitazione. Enrico Maria Salerno mi ha insegnato la precisione e la semplicità unite alla profondità dell’interpretazione. Arturo Brachetti mi ha mostrato la maniacale, saggia preparazione di se stessi e la generosità verso il pubblico. Con Gabriele Lavia ho riassaporato la grande matrice colta, ma anche comunicativa del teatro “alto” che avevo studiato con Orazio Costa (unico vero maestro di pedagogia teatrale italiano). Arnoldo Foà, ad oltre 80 anni, mi ha mostrato il “mestiere” dell’attore di tradizione. Marco Carniti mi ha fatto conoscere il teatro popolare di Shakespeare, rivolto esplicitamente al pubblico, senza grosse elucubrazioni intellettuali, ma forte di una condivisione totale. Daniele Salvo mi ha permesso di tornare a fare un tuffo nel meraviglioso teatro di parola di ronconiana memoria. E tutte queste ricchezze ho saputo metabolizzarle e trasferirle nel “mio” teatro di regia, che le comprende tutte. I miei attori non vedono l’ora di cominciare un nuovo spettacolo perché sanno che sarà per loro molto “ricco” di conoscenza, mestiere e serietà, ma sanno anche che ci divertiremo da matti.
Lei è uno dei candidati della lista “La Squadra per l’audiovisivo” alle elezioni del Nuovo IMAIE del 22-23-24 maggio 2021. Volevo sapere cosa l’ha spinta a candidarsi e quali sono, secondo lei, le sfide che questa collecting dei diritti connessi dovrà affrontare per la categoria dei lavoratori dello spettacolo, in particolare quelli dell’audiovisivo?
Ho accettato di candidarmi perché dal 2014 ad oggi è venuto meno l’aspetto “mutualistico” dell’Istituto, mi riferisco all’articolo 7 che, per diversi anni, ha permesso a molti artisti di dedicarsi a progetti personali, creando lavoro per sé e molti altri, liberando la creatività di cui tutti siamo pieni e desiderosi di esprimerla. L’articolo 7 è passato dall’essere “per tutti” ad essere “per chi viene scelto”, e questo non è coerente con la mission dell’istituto (mutualistico) e dell’articolo 7 (auto promozione). Deve tornare ad essere veicolo di progettualità, creatività, opportunità. Per tutti.