“Sei personaggi in cerca d’autore”, Valerio Binasco amplifica l’attualissimo tema della ricerca di un senso nel fare teatro

Milano. Dal 25 febbraio al 9 marzo Valerio Binasco porta al Piccolo, al Teatro Strehler, “Sei personaggi in cerca d’autore”, amplificando il tema – attualissimo – della ricerca di un senso nel fare teatro. Dei “Sei personaggi” si sa tutto, fin dal tumultuoso esordio al Teatro Valle di Roma, il 9 maggio 1921: l’accoglienza inizialmente polemica dell’opera lasciò rapidamente il passo a un successo internazionale, ancora oggi immutato. Dopo “Il piacere dell’onestà”, Valerio Binasco torna ad affrontare il teatro di Luigi Pirandello, con il dramma che più di tutti ha indagato le contraddizioni del teatro: l’incontro-scontro tra testo e regia, il rapporto tra finzione e vita reale. Binasco esplora la vicenda di una famiglia devastata, intercettando gli esili fili sottesi ai rapporti tra le varie componenti di quel nucleo in crisi, per risvegliare una struttura narratologica che era stata consapevolmente decostruita dal suo autore. Sullo sfondo di un mondo piccolo-borghese, l’uomo e la maschera si fondono in un denso nucleo di interrogativi sulla contrapposizione tra l’illusoria adesione a forme sociali precostituite e il loro fallimento. «Il primo pensiero è che questo sia un testo concepito per sorprendere e spiazzare. Quindi bisogna trovare un modo per far sì che continui a sorprendere e spiazzare. Anche se dobbiamo accontentarci di un effetto attenuato dal tempo: i Sei personaggi sono diventati un classico, con una trama e una forma scenica ormai risapute. Ma questa non deve essere una scusa per farne un pezzo museale sui vizi del teatro d’altri tempi, stravagante ma non troppo, o, peggio – almeno per il gusto di chi scrive queste note –, un dramma filosofico il cui centro di interesse consista solo nella gara di intelligenza tra chi filosofeggia e chi cerca di raccapezzarsi senza capire niente di ciò che sostiene il suo interlocutore. Pirandello scrive un dialogo filosofico grottesco nel quale innesta una trama sfilacciata e ricca di spunti emotivi. Ma nessuno sviluppo drammatico compone una vera storia. Il mio spettacolo prende atto di questa noncuranza dell’autore, ma rivendica il piacere di affidarsi a schemi semplici come il plot e il sub-plot. Anche se Pirandello pare non curarsene, il plot, la trama principale, c’è. Ed è quello che vede una compagnia di attori in profonda crisi creativa. Sia gli attori che il Regista-Direttore sembrano non capire più nulla di quello che stanno facendo. Questa compagnia presenta i sintomi di una malattia molto grave, diffusa nel mondo come una catastrofe, ovvero il degrado dell’arte teatrale. Pirandello, che voglia rivelarcelo o no, scrive questa commedia guardando dritto negli occhi il Teatro del suo tempo e dicendogli: stai morendo. Veniamo adesso a quel che vorrei fare io. Per me il plot principale, ovvero quello della crisi di una compagnia, è importante. Questa crisi si incarna quasi totalmente nel Regista-Direttore. Lui è il medium. Il Regista-Direttore, in prospettiva contemporanea, vive la crisi di insensatezza del fare teatro oggi. Non sa più cosa deve fare. Sa solo che per salvarsi la vita deve comunque fare qualcosa. Ma cosa? E per chi? E come? E per ottenere cosa: amore? Rispetto? Quali sono i bisogni interiori di questo regista? E perché il teatro non è più capace di soddisfarli? Perché è finito a mettere in scena Il giuoco delle parti di Pirandello? Cosa vuole da questo vecchio testo? Cosa cerca e non trova? Perché è andato ancora una volta a mettere in scena Pirandello, non poteva fare qualcosa di più contemporaneo? Qual è dunque il suo rapporto con la contemporaneità? Sta cercando il “senso” del suo mestiere ed è ovvio che lo vada cercando nelle opere più intrise di tradizione. Visto da una prospettiva contemporanea, Pirandello è un classico. Mi dispiace per lui, ma è andata così. Un classico della modernità, se vogliamo, una specie di pezzo di museo d’arte moderna. Ma pur sempre un pezzo da museo. Quindi è naturale, giusto, necessario, inevitabile rivolgersi a lui – come ci si rivolge a Shakespeare, a Goldoni, a Čechov – quando si cerca il senso del nostro mestiere».

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